ACQUA

L’Acqua

L’ACQUA SECONDO LO STATO

MINISTERO DELLA SALUTE
DECRETO 3 dicembre 2001
Commercializzazione delle acque minerali naturali negli esercizi pubblici.

IL MINISTRO DELLA SALUTE
di concerto con
IL MINISTRO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE
Visto il decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 105, recante disposizioni per l’attuazione della direttiva 80/777/CEE relativa alla utilizzazione e alla commercializzazione delle acque minerali naturali, come modificato dal decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 339;
Visto il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109, recante l’attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernente l’etichettatura, la presentazione e la pubblicita’ dei prodotti alimentari;
Considerato che le acque minerali naturali si distinguono dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria e le caratteristiche intrinseche che devono essere preservate sino al momento del consumo;
Considerato che e’ contraria alle norme vigenti e sanzionabile sotto il profilo amministrativo, la prassi invalsa negli esercizi pubblici di offrire ai consumatori acqua minerale naturale prelevata da confezioni non integre, esponendo l’acqua minerale a rischi di contaminazione e di perdita di caratteristiche intrinseche a seguito della distruzione del confezionamento e rendendo problematico l’accesso del consumatore all’informazione recata dall’etichetta;
Ritenuto, al fine di garantire la tutela della salute del consumatore, di chiarire quanto sopra e sanare espressamente il divieto della commercializzazione previo frazionamento delle acque minerali naturali;
Sentito il Consiglio superiore di sanita’ nella seduta del 18 settembre 2001;
Vista la notifica effettuata ai sensi della direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998, come modificata dalla direttiva 98/48/CE del 20 luglio 1998;
Decreta:
Negli esercizi pubblici l’acqua minerale naturale originariamente preconfezionata deve essere venduta al consumatore in confezione integra o previa apertura della confezione al momento della consumazione.
Il presente decreto entra in vigore dopo novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Roma, 3 dicembre 2001

Il Ministro della salute
Sirchia

ACQUA: DEFINIZIONE

L’Acqua è una bibita,la sola e unica cosa fondamentale per l’esistenza degli esseri viventi,è l’unica bibita presente in natura anche senza alcun tipo di lavorazione da parte dell’uomo,in linea di massima possiamo definirla una bibita incolre,insapore e inodore(Scopriremo poi con il susseguirsi degli argomenti le diversita tra i vari tipi di acqua esorto quindi chi leggesse a non prendere alla lettera la definizione appena scritta ma di usarla solo come input di base).

Viene definita la bevanda principe grazie a tutte le sue qualità,prima a tutte quella di soddisfare la sete e di reintegrare le perdite di liquidi ma anche reintegrare i Sali minerali di cui l’organismo ha bisogno.

Sono chiamate acque minerali le acque riconosciute tali dal ministero della salute in base ad analisi chimico-fisiche e microbiologiche su composizione e purezza, vengono poi suddivise come vedremo in seguito in base alla presenza di Sali minerali di diversa tipologia in esse disciolti.

Sono vietati tutti i tipi di trattamenti chimici che ne possano alterare la composizione, l’unica operazione consentita è l’aggiunta di anidride carbonica per renderle gassate, le acque minerali si distinguono da quella potabile presa dal rubinetto(prelevata da laghi, falde superficiali o altro) la quale puo essere sottoposta a trattamenti come l’aggiunta di cloro.

In particolare si definiscono acque minerali naturali quelle acque che avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo,provengono da una o piu sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute.L’acqua minerale non puo essere filtrata o subire processi di purificazione e deve essere pura all’origine.

Mentre per l’acqua potabile  sono previsti dei limiti analitici da rispettare,la composizione dell’acqua minerale è libera, purche sia però autorizzata.

 

IMBOTTIGLIAMENTO

Gli stabilimenti per l’imbottigliamento sfruttano l’acqua di una sorgente. La tecnica è semplice e interamente automatizzata: le bottiglie, accuratamente lavate e sterilizzate, passano su un nastro trasportatore fino alle macchine riempitrici, alimentate con l’acqua della sorgente (questa viene addizionata con anidride carbonica per il tipo “gassato”), poi passano alle macchine tappatrici ed etichettatrici.

Occorre tenere presente che non sono permesse molte operazioni sulle acque minerali: ad esempio si possono far decantare per eliminare alcuni composti come ferro e zolfo e naturalmente aggiungere anidride carbonica, ma non è affatto lecito fare trattamenti di potabilizzazione o battericidi.

L’ACQUA E LA SUA IMPORTANZA

Come sicuramente noi tutti ben sappiamo l’acqua è la principale fonte di vita di ogni essere vivente,uomini,animali,piante,ognuno dei quali non potrebbe sopravvivere senza, inoltre tutti noi sappiamo che l’acqua oltre ad essere l’elemento piu presente nel nostro organismo,circa il 60% del peso corporeo di un adulto e l’80% di un bambino, nel corpo umano svolge funzioni miracolose come regolare la temperatura corporea, lubrificare i tessuti,facilitare la digestione e aiutare nell’eliminazione delle sostanze di scarto,ma l’acqua è anche l’elemento piu presente nel mondo, pensiamo che piu del 50% del globo è composto da acqua,detto questo allora come facciamo a dire che,come ormai si parla gia da tempo che l’acqua è una risorsa limitata? E di come risolvere il problema dell’esaurimento di questa risorsa?

Per rispondere a questa domanda possiamo trattare due argomenti ben distinti, quello dell’acqua per gli esseri umani e quello dell’acqua per la natura:

Riguardo alla natura con il processo di evaporazione e di seguenti piogge le piante e quant altro saranno sempre rifornite(sempre tenendo conto della regolarita delle piogge).

Riguardo il fabbisogno necessario per la razza umana, è stato sollevato il problema della risorsa limitata dell’acqua in quanto l’acqua è si l’elemento piu presente sul pianeta ma non è tutta uguale, infatti quella di cui necessita l’uomo e quella tecnicamente definita ACQUA POTABILE,ed ecco che abbiamo gia formato due distinti tipi di acque,la POTABILE e La NON POTABILE, infatti la maggior parte dell’acqua presente sul globo fa parte della seconda categoria in quanto contaminata,salata, di stagni o acquedotti che non permettono di renderla bevibile,esistono infatti dei criteri e delle norme salutistiche che fanno si che un acqua piuttosto che un’altra rientri nel primo o nel secondo gruppo, quella che a noi potrebbe sembrare a occhio nudo e al palato una buona acqua potrebbe,dopo essere stata analizzata, non risultarlo affatto, e viceversa,posso farvi l’esempio delle acque termali e allo zolfo,a primo impatto dal loro odore e sapore si potrebbe tentennare nel berle, ma sono tutt’oggi, dopo approfonditi studi,considerate molto salutari.

Il fabbisogno giornaliero di acqua di un adulto va dai 2 ai 2,5 litri al giorno, dei quali circa un litro e mezzo viene reintegrato da acqua vera e propria e il restante da tutti gli alimenti ingeriti che ne contengono.

L’acqua introdotta tramite alimenti e bevande è detta acqua esogena, mentre è detta endrogena l’acqua proveniente dalle reazioni di ossidazione dei nutrientiall’interno delle cellule.

CENNI STORICI DELL’ACQUA

Per la maggior parte le acque minerali italiane vengono tutt’ora emunte da sorgenti gia note ai tempi dei romani,la maggior parte della storia dell’acqua è tracciabile dalla sola scoperta delle varie sorgenti,luogo di estrazione dell’acqua e contemporaneamente punto in cui l’acqua si affaccia sul mondo,è infatti dalla sorgente che l’uomo ha fatto nascere tutti gli acquedotti e le condutture per poter sfruttare alo massimo questa risorsa.

Intorno alla storia dell’acqua sono nate poi una serie di storie ,legende,miti e una sorta di simbolismo che ancora oggi ne confermano una sorta di potere sia in caso di vita che di morte,sono infatti smisurate le opere artistiche e monumentali, nonche i cenni storici che fanno riferimento alla scoperta dell’acqua,la cui storia e origine non è altro che un susseguirsi di racconti e storie.

LE ACQUE MINERALI LE LORO PARTICOLARITA’: STORIA,SORGENTI E TERROIR

Parlare di storia dell’acqua è una cosa un po inpensabile in quanto l’acqua è da sempre presente in natura, possiamo pero parlare delle origini delle varie tipologie delle acque, da cosa nascono tutte le loro diversità? Le acque si contraddistinguono per mille piccole sfaccettature, e tutto questo deriva dalla loro sorgente e dal terroir della zona dalla quale provengono, collina,montagna, e da quali sono i minerali che incontrano nel loro percorso, incontando i diversi tipi di minerali le acque si caricano della loro presenza dando vita alle suddivisione saline che tratteremo in seguito.

Il Terroir: Il rapporto tra acqua e territorio e sicuramente molto piu intenso e diretto rispetto a quello che possiamo intendere per il vino,nel caso dell’acqua infatti il legame elemento-terreno è chiaramente diretto,cioè non mediato in alcun modo dall’uomo.Nella vena acquifera infatti a lavorare a contatto con l’acqua sono solo le rocce, il terreno,i minerali e le molecole biologiche,sono questi gli elementi che determinano la composizione chimico-fisica delle acque.

I sistemi geoambientali nella quale si puo collocare la nascita dei principali acquiferi italiani sono 5:

A- Le pianure alluvionali:acqua raramente pregiata, è il piu vulnerabile e soggetto a rischio inquinamento

B- Zone di recenti vulcanismi: molto pregiate, sono caratterizzati dal fatto che riescono ad accomunare molte diverse regioni su tutta la penisola italiana, ricche di minerali puri scaturiti direttamente dal centro della terra quali ferro,potassio,magnesio ecc.

C- Acquiferi cristallini di montagna: sono presenti per lo piu nella zona alpina e in sardegna,acque dalla spiccata nota vegetale

D- Acquiferi calcarei di montagna: caratterizzata dalla forte presenza di pozzi, falde,grotte e fiumi sotterranei,acque dure,alcaline e adatte a particolari fabbisogni.

E-Acquiferi di masa: caratterizzati dalla grande componente argillosa,presenti nella zona appenninica,acque dalle note terrigene.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE

Le Acque minerali possono essere classificate in base a svariati e diversi parametri(temperatura,concentrazione molecolare,classificazione chimica, residuo fisso, addizionata o no…ecc)ma il piu diffuso e quello piu elementare e quello relativo alla concentrazione salina, il residuo fisso.

Il residuo fisso è il primo parametro da controllare su un etichetta ed esprime la quantita di Sali minerali disciolti in un litro di acqua fatta evaporare a 180°,il suo valore viene quantificato in milligrammi per litro(mg/lt),in base al residuo fisso le acque possono essere:

MM:minimamente mineralizzata(residuo fisso inferiore a 50mg/lt)

OM:oligominerale/leggermente mineralizzata(residuo fisso compreso tra 50 e 500 mg/lt)

AM:mediomineralizzta/mediominerale(residuo fisso compreso tra 500 e 1500 mg/lt)

RSM:ricca di Sali minerali(residuo fisso compreso tra 1500 e 3000 mg/lt)

ADS:acque di sorgente(con residuo fisso compreso entro i 1500 mg/lt)

Oltre alla quantita di Sali minerali presenti possiamo pero fare un’altra classificazione in base al tipo di sale minerale presente in maggior quantita:

1-bicarbonata:tenore di bicarbonato superiore a 600 mg/lt

2-solfata:il tenore dei solfati è superiore a 200 mg/lt

3-clorulata:il tenore di cloruro è superiore a 200 mg/lt

4-calcica:il tenore di calcio è superiore a 150 mg/lt

5-magnesiaca:il tenore di magnesio è superiore 50 mg/lt

6-fluorata:il tenore di fluoro è superiore a 1 mg/lt

7-ferruginosa:il tenore di ferro bivalente è superiore1 mg/lt

8-acidula:il tenore di anidride carbonica libera è superiore a 250 mg/lt

9-sodica:il tenore di sodio è superiore a 200 mg/lt

10-a basso contenuto di sodio: il tenore di sodio è inferiore a 20 mg/lt

Considerando gli effetti salutari le acque possono essere distinte in:

-Terapeutiche,ovvero dalle particolari funzioni verso il nostro organismo

-Da Tavola,ovvero quelle commercializzate per le loro particolarità potabili

Classificazione delle acque in base alla presenza di Sali:

1-acque bicarbonate,contengono una quantita di bicarbonato superiore ai 600 mg/lt e comprendono le categorie di acque bicarbonato-alcaline,le alcalino-terrose,le solfato alcaline,le solfato-alcaline-terrose,sono acque utili in caso di insufficienza epatica,favoriscono la digestione e tamponano l’acidita gastrica

LE ACQUE PER OGNONO DI NOI

L’acqua come abbiamo visto e detto è indispensabile per la nostra vita ma per ogni fase della nostra vita e in base a cio che facciamo e a come siamo ci sono delle acque piu adatte rispetto ad altre.

-le minimamente mineralizzate, cosiddette acque leggere stimolano la diurei e sono indicate particolarmente per la ricostituzione di latte e di alimenti per la prima infanzia

-le acque oligominerali hanno azione diuretica e sono indicate nella cura della gotta,nella cura della calcolosi urinaria e nei postumi lievi di glomurelo-nefriti acute

-le acque medio minerali e minerali, bicarbonate,grazie al loro potere tampone possono essere usate nelle gastriti ipocloriti che,poiche a contatto con l’acido cloritico,liberano anidride carbonica,che stimola la secrezione cloritica dello stomaco

-le acque bicarbonato-alcaline sono particolarmente indicate per la somministrazione in pediatria

-le acque bicarbonato-sodiche possono essere somministrate ai bambini durante i pasti,per stimolare la secrezione gastrica e pancreatica,nonche regolarizzare le funzioni epatiche

-le acque bicarbonato calciche sono invece indicate nei casi di gastroenteriti acute dei lattanti e possono essere somministrate come bevanda

-le acque solfato-alcaline-terrose,sono indicate nelle coliti,enterocoliti,nella gotta e nell’obesita

-le acque ricche di Sali minerali che interessano il consumo a tavola sono le bicarbonato-alcaline sono utili per stimolare la secrezione gastrica e pancreatica e per regolarizzare le funzioni epatiche

-le acque salse,le sulfuree,le acque arsenicali-ferruginose e le acque solfate,per le loro caratteristiche saline vengono considerate medicamentose o curative,indicate come coadiuvante nella risoluzione di determinate malattie,e, pertanto,somministrate rigorosamente sotto controllo medico.

-le acque bicarbonato sodiche possono essere somministrate ai bambini durante l’allattamento

-le acque bicarbonato calciche possono essere usate per i lattanti in caso di gastroenteriti

-le acque bicarbonate alcaline sono acque utili per le persone dela terza eta,dopo i 60 anni,in quanto stimolano la secrezione gastrica e pancreatica

-per gli sportivi sono consigliate acque salate per il reintegro dei Sali minerali

-per l’ipertensione sono indicate le acque debolmente mineralizzate o lievemente alcaline e a basso contenuto di sodio

-per l’obesita sono indicate le acque diuretiche,solfato-alcaline-terrose per le loro funzioni che facilitano le funzioni dell’apparato digerente, essendo leggermente lassative

LA SODA E IL SELTZ

Il seltz,anche se oggi in disuso,è necessario per la preparazione di alcune bevande.Esso ha un forte contenuto di CO2 ed aggiunto ad alcune bevande,in particolare gli aperitivi li rende vivi e frizzanti.L’acqua minerale non puo dare lo stesso risultato poiche mortifica la bevanda.Il Seltz si prepara nel seguente modo:si riempie il sifone con acqua priva di ossido di ferro e di cloro e la si rende gassosa con bombolette di anidride carbonica,l’anidride carbonica ha una sua particolarita,agisce sulla mucosa dello stomaco e favorisce la secrezione dei succhi gastrici,essa migliora inoltre gli stimoli dell’appetito e la digestione.

La Soda water è un acqua di sorgente con alta gradazione di acido carbonico,è alcalina e contiene sale e carbonato di sodio,viene aggiunta a molti drinks in sostituzione del seltz ed è particolarmente indicata con distillati ad alta gradazione alcolica.

COME LEGGERE L’ETICHETTA

Nel 2003 l’Italia ha recepito le norme comunitarie in tema di acque minerali con due decreti ministeriali che impongono limiti più restrittivi ad alcune componenti dell’acqua, introducendo alcune indicazioni obbligatorie in etichetta ( dal sito www.minindustria.it  è possibile  scaricare il volumetto sull’intera normativa ).

Sulla base della nuova normativa, le etichette o i recipienti delle acque minerali naturali debbono riportare obbligatoriamente le seguenti indicazioni.

A)  La denominazione legale acqua minerale naturale,integrata, se è il caso,con ulteriori    indicazioni sulla presenza CO2. La normativa attuale,infatti consente alle aziende imbottigliatrici di sottoporre le acque minerali naturali in fase di imbottigliamento a trattamenti che modificano il contenuto del gas anidride carbonica.

Sulla base di questo eventuale trattamento,le acque si distinguono in:

•  acqua minerale naturale totalmente degassata (  cioè un acqua “ piatta “ alla quale è stata tolta l’anidride carbonica libera naturale con cui sgorga dalla sorgente );

•  acqua minerale naturale parzialmente degassata ( un acqua leggermente frizzante, alla quale è stata tolta solo parzialmente l’anidride carbonica libera naturale con cui sgorga dalla sorgente);

•  acqua minerale naturale rinforzata con il gas della sorgente ( un acqua a cui viene aggiunta la CO2 naturale proveniente dalla stessa falda o giacimento, e che risulta per tanto con effervescenza superiore a quello della sorgente;e certamente il metodo migliore di “ addizionare” l’acqua e quello che offre i migliori risultati in termini organulettici);

•  acqua minerale naturale con aggiunta di anidride carbonica  ( e l’acqua frizzante alla quale viene aggiunta la CO2 non prelevata dalla stessa falda o giacimento);

• acqua minerale naturalmente gassata o effervescente naturale ( è l’acqua che sgorga dalla sorgente già effervescente, con un tenore di anidride carbonica libera superiore a 250 mg/l, uguale a quello della sorgente, tenuto conto della eventuale  reintegrazione di una quantità di anidride carbonica, proveniente dalla stessa falda  o giacimento dell’acqua minerale pari a quella liberata nel corso delle operazioni che precedono l’imbottigliamento, non che delle tolleranze tecniche abituali).

B) Il nome commerciale dell’acqua minerale naturale, il nome della sorgente e il luogo di utilizzazione della stessa.

C) L’indicazione  della composizione analitica, risultante dalle analisi effettuate, con i componenti caratteristici. Per quanto concerne il fluoro se la concentrazione supera il valore di 1,5 mg/l  è obbligatorio indicare in etichetta,con caratteri ben visibili: “ contiene più di 1,5mg/l  di fluoro, non ne è opportuno il consumo regolare da parte dei lattanti e dei bambini inferiori ai 7 anni”.

D) La data in cui sono state eseguite le analisi dell’acqua e il laboratorio presso il quale sono state effettuate.

E) Il contenuto nominale ( se la bottiglia è da un litro da 50 cl ecc).

F) Le indicazioni dei titolari dei provvedimenti di riconoscimento e di autorizzazione alla utilizzazione.

G) Il termine minimo di conservazione.

H) Il codice di identificazione del lotto,salvo il caso in cui nel temine minimo di conservazione figuri l’indicazione del giorno e del mese.

I)  Informazioni circa gli eventuali trattamenti consentiti a cui sia stata sottoposta l’acqua prima dell’imbottigliamento.

L) In caso di trattamento con aria arricchita di ozono l’etichetta deve riportare la dicitura: “ acqua sottoposta a una tecnica di ossidazione dell’aria arricchita di ozono”.

M) La dicitura “ e” che indica che la quantità è stata controllata ai sensi delle normative europee.

Inoltre, sull’etichette possono essere indicate eventuali proprietà terapeutiche, se menzionate nel decreto di riconoscimento dell’acqua minerale, ma senza riferimenti espliciti a proprietà curative o di prevenzione:

• può avere effetti diuretici;

• può avere effetti lassativi;

• indicata per l’alimentazione dei neonati;

• stimola la digestione o menzioni analoghe;

• può favorire le funzioni epatobiliari o menzioni analoghe;

• altre menzioni concernenti le proprietà favorevoli alla salute purché non è esplicitamente collegate a capacità di prevenzione, cura e guarigione di malattie;

• eventuali indicazioni d’uso;

• eventuali controindicazioni.

La dizione microbiologicamente pura garantisce, in fine, che l’acqua non contiene alcun microrganismo pericoloso x la salute umana.

CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE

In etichetta troviamo anche le seguenti dizioni tra le “ caratteristiche fisico – chimiche diverse”.

  pH

E’ un termine che misura l’acidità dell’acqua. Se il valore è di 7, l’acqua è neutra. Più il valore è inferiore al 7 e più l’acqua è acidula, più è superiore a 7 e più l’acqua è alcalina. Quando c’è anidride carbonica, l’acqua è acidula perchè questo gas si scioglie in acqua come acido carbonico.

 NITRATI E NITRITI

Sono tra i parametri maggiormente tenuti sotto controllo. Il limite massimo consentito per i nitrati è di 45 mg/l e 10 mg/l per l’infanzia mentre x i nitriti – che dovrebbero essere assenti – il limite massimo consentito è di 0,02mg/l.

RISULTATI ANALITICI

L’elenco dei singoli minerali espressi in ioni, cioè la composizione dettagliata del residuo fisso.

DUREZZA

E’ il valore del calcare sciolto nell’acqua espresso in “ gradi francesi”. Quindi,  più alto il valore più l’acqua è calcarea.

CONDUCIBILITA’ ELETTRICA

E’ una controprova del residuo fisso, poiché più minerali ci sono e più l’acqua permette il passaggio di una corretta elettricità. E’ espressa in micro Siemens al cm (m S/cm). Una maggiore quantità di elettroliti significa alta concentrazione di minerali. Valori bassi (sotto 100 m S/cm) sono tipici,invece di acque povere di sali: le oligominerali.

I MINERALI,ELEMENTI DI BASE E IN TRACCIA

Sodio

E’ un elemento molto diffuso sulla crosta terrestre ed è uno dei costituenti base di molti tipi di rocce. E’ sempre presente nelle acque minerali principalmente a causa dell’elevata solubilità. Nelle acque il sodio deriva dalla lisciviazione dei depositi superficiali e sotterranei di sali, dalla alterazione dei minerali silicei, dalle intrusioni di acqua marina negli acquiferi di acqua dolce; apporti, infine, molto contenuti, ma comunque evidenti in alcune acque, sono dovuti alla pioggia che contiene, in certe aree, aerosol marino.
Il sodio è un elemento molto importante nel metabolismo umano (il fabbisogno giornaliero è circa 4 grammi). Se le acque con contenuto elevato di questo elemento non sono consigliate alle persone affette da malattie cardiovascolari, non c’è comunque motivo di pubblicizzare in modo eccessivo quelle acque a basso contenuto di sodio, come se questo fosse il componente delle acque più a rischio per l’organismo umano. Si tenga infine presente la necessità di reintegrare questo elemento nell’organismo, specialmente durante il periodo estivo quando la sudorazione è abbondante.

Potassio

Il potassio proviene per lo più dai principali silicati costituenti le rocce magmatiche o argillose. Le quantità che normalmente si riscontrano nelle acque minerali di media mineralizzazione sono basse, spesso intorno a 1 mg/L. Poiché è un elemento indispensabile per l’organismo umano e spesso in bassa quantità nella maggior parte delle acque (minerali e potabili), non è stato definito un limite per l’assunzione di questo elemento dalle acque.

Calcio

Il calcio è un elemento molto abbondante ed è presente in molti minerali costituenti la crosta terrestre. Quantità elevate di calcio nelle acque indicano generalmente la provenienza da rocce come calcari (carbonato di calcio) e dolomie (carbonato doppio di calcio e magnesio). Nelle acque minerali i valori di calcio che più frequentemente si riscontrano sono compresi fra 50 e 150 mg/L. Quando il tenore di calcio è superiore a 150 mg/L l’acqua può essere definita “calcica”. Il calcio è un elemento necessario per la formazione dei denti e del tessuto osseo; le acque calciche sono consigliate sia durante la gravidanza, sia in età avanzata per combattere l’osteoporosi. Anche nel caso di malattie cardiovascolari non ci sono controindicazioni all’impiego di acque contenenti calcio.

Magnesio

Anche il magnesio è un elemento diffuso in molti minerali della litosfera. Concentrazioni elevate si riscontrano nelle acque che hanno un lungo tempo di residenza in acquiferi costituiti da sabbie e ghiaie contenenti dolomia o da ofioliti (rocce vulcaniche formatesi in ambiente marino). In questi casi si raggiungono valori fino a 100 mg/L. Quando il tenore di magnesio supera il valore di 50 mg/L l’acqua si definisce “magnesiaca”. Non vi sono controindicazioni all’impiego di acqua con magnesio in quantità ragionevolmente più elevata, anche se quantità molto alte possono determinare proprietà purgative. L’organismo umano necessita di almeno 500 mg di magnesio al giorno. Acque magnesiache trovano impiego nella prevenzione dell’arteriosclerosi perché determinano una sensibile dilatazione delle arterie.

Cloruri

I cloruri sono presenti in tutte le acque fluviali, lacustri e sotterranee grazie alla mobilità e solubilità di questo ione. In acque sotterranee, generalmente, si possono riscontrare concentrazioni da pochi mg/L fino a 1000 mg/L; quantità più elevate sono presenti nelle acque che vengono in contatto con rocce evaporitiche (salgemma). Non esiste un valore limite per le acque minerali, comunque valori superiori a 200 mg/L determinano il sapore salato dell’acqua. Le acque ricche in ioni cloruro facilitano la secrezione gastrica.

Solfati

I solfati sono presenti in tutte le acque fluviali, lacustri e sotterranee; in certe acque sotterranee si possono riscontrare concentrazioni da pochi mg/L fino 1500 mg/L e oltre; quantità più elevate si osservano nelle acque che vengono a contatto con sedimenti evaporitici a gesso. In Toscana, dove è presente una notevole variabilità geologica, si verificano frequenti situazioni che determinano la circolazione di acque con solfati, spesso in concentrazione elevata e superiori a quel valore di 200 mg/L che definisce le acque minerali “solfate”. Quando i solfati sono associati al magnesio e sono in quantità piuttosto elevate, le acque possono manifestare proprietà purgative. Recenti studi negli USA indicano che queste caratteristiche si manifestano con concentrazioni di solfati maggiori di 1000 mg/L, valori quasi mai raggiungibili nella maggior parte delle acque minerali del nostro Paese.

Bicarbonato

Il bicarbonato (chiamato anche idrogenocarbonato) proviene per lo più dalla dissoluzione di rocce calcaree e dolomitiche, ma anche da rocce silicatiche, per azione dell’acqua piovana di infiltrazione, spesso ricca di anidride carbonica. Quando il tenore del bicarbonato è superiore a 600 mg/L sull’etichetta può essere riportata la seguente indicazione “Contenente bicarbonato”. Le acque contenenti bicarbonato, bevute durante i pasti stimolano la secrezione gastrica facilitando la digestione.

Fluoruri

Il fluoro è un elemento indispensabile per l’organismo umano in quanto è un costituente dei denti e delle ossa; tuttavia quantità elevate di fluoruri introdotte con le acque e gli alimenti possono indurre formazione di chiazze scure nella dentatura e alterazione del processo di calcificazione delle ossa (fluorosi). Mentre per le acque di acquedotto esiste un valore limite (1,5 mg/L), al momento questo non è previsto per le acque minerali. Le acque minerali con contenuto di fluoro superiore ad 1 mg/L possono riportare la seguente indicazione “fluorata” o “contenente fuoro”.

Nitrati

I nitrati sono presenti in tutte le acque per fenomeni naturali (in questo caso gli apporti sono sempre molto modesti), ma soprattutto per conseguenza di attività umane. Composti azotati, successivamente trasformati in nitrati, si formano nell’atmosfera per azione delle scariche elettriche. Con la pioggia penetrano nel suolo e raggiungono le acque sotterranee. Altri fenomeni naturali (nitrificazione delle sostanze vegetali) concorrono alla produzione di nitrati. Quantità elevate di nitrati nelle acque sono imputabili all’azione dei fertilizzanti azotati: dopo lo spargimento sul terreno essi vengono dilavati dalle piogge e trasferiti nelle acque superficiali o infiltrati in quelle sotterranee. Nelle acque minerali, per i nitrati sono previsti due differenti limiti: 45 mg/L nelle ordinarie acque minerali e 10 mg/L in quelle destinate all’infanzia.

Elementi in traccia

Talvolta sulle etichette compare la scritta Elementi in traccia seguita da una serie di elementi mancanti del valore relativo alla loro quantità per litro. Informazioni riportate in questo modo aggiungono ben poco alla conoscenza della composizione dell’acqua, in quanto a livello di bassissime quantità, nell’acqua si può trovare la quasi totalità degli elementi costituenti la crosta terrestre.
Per elementi in traccia si intendono sia gli elementi presenti in minime quantità come litio, bario, stronzio (sempre presenti nelle acque naturali), ma anche i metalli pesanti come piombo, cadmio, nichel, mercurio ed altri. Fra gli elementi in traccia vi sono sia quelli essenziali all’organismo umano (ad esempio, come componenti di enzimi), sia quelli tossici: pertanto è di interesse la loro determinazione analitica.
Si ricorda che alcuni elementi (rame, selenio, cromo, ecc.) sono essenziali quando sono assunti in bassi quantitativi nell’organismo umano, ma diventano tossici quando sono introdotti in quantità elevate in quanto la dose efficace a livello fisiologico è, per alcuni di questi, molto vicina alla dose tossica; inoltre, altri elementi (piombo, mercurio e altri) non sembrano avere alcuna funzione biologica.
Metalli e altri elementi di natura non metallica, sia essenziali che tossici, sono inseriti nell’elenco riportato nell’articolo 6 del Decreto 542/92 e classificati come sostanze contaminanti o indesiderabili; essi, generalmente, sono presenti nelle acque minerali in quantità molto basse, certamente inferiori ai rispettivi valori limite riportati nel citato articolo, altrimenti l’acqua minerale non potrebbe essere messa in commercio. Una loro eventuale indicazione su un’etichetta accompagnata dai rispettivi valori della concentrazione, potrebbe essere di interesse per capire quanto tali quantità sono al di sotto dei valori limite, mentre la serie di elementi in traccia non accompagnata dai rispettivi quantitativi, riportata su alcune etichette, è da ritenersi del tutto inutile.

 Basso residuo fisso e bassa durezza uguale leggerezza.
Il residuo fisso, parametro fondamentale per determinare la leggerezza di un’acqua minerale, consiste nella quantità di sostanze inorganiche presenti nell’acqua ed è normalmente espresso in milligrammi per litro: si ottiene facendo evaporare l’acqua a 100 °C, con successiva essicazione a 180 °C. La principale classificazione delle acque minerali è condotta proprio in base al residuo fisso: si distinguono quindi in minimamente mineralizzate, quando il residuo fisso non supera i 50 mg/l, oligominerali (non superiore a 500 mg/l), minerali (tra 500 e 1.500 mg/l) e ricche di sali minerali (oltre 1.500 mg/l).
Il residuo fisso di Sant’Anna è pari a 39,2 milligrammi: è un’acqua perciò minimamente mineralizzata e molto leggera. Con il termine ‘durezza’ si intende il contenuto di sali di calcio e di magnesio nell’acqua.

CONSERVAZIONE DEL PRODOTTO

L’acqua è un elemento vivo e, pertanto, una cattiva conservazione ne può danneggiare le proprietà. Data la sua importanza è consigliabile seguire alcune “ istruzioni per l’uso “:

• conservare le bottiglie sempre a riparo della luce, dal sole e da fonti di calore;

• richiudere bene le bottiglie per mantenere integre le caratteristiche originarie dell’acqua minerale:

• nei locali pubblici, pretendere che la bottiglia venga presentata nella confezione originale sigillata;

• capovolgere e agitare la bottiglia e verificare se vi siano perdite o sostanze sospette o se forma della schiuma. In tal caso non consumarla e farla verificare a un organo di vigilanza (ufficio di igiene,Asl,ecc..);

• evitare l’impiego di ghiaccio che,da un lato,ne altera il gusto e dall’altro, ne contamina la purezza naturale;

• non travasare mai l’acqua minerale in caraffe, sia per ragioni igieniche, sia per non confonderla con altre acque

IL SERVIZIO DELLE ACQUE

L’Acqua che sia confezionata in bottiglie, damigiane o presa direttamente dalla fonte viene servita in bicchieri tumbler alto o tumbler basso, puo essere servita con del ghiaccio o su richiesta con spicchi di agrumi(limone per la maggior parte dei casi).Può essere servita fredda o temperatura ambiente a seconda delle preferenze del cliente.La temperatura di degustazione consigliata è di 10°-12° per le acque frizzanti(l’innalzamento della temperatura porterebbe il rischio di perdita della CO2) e di 12°-15° per le acque naturali.

LA MIXABILITY DELL’ACQUA

L’Acqua a differenza di ciò che tutti possono pensare gioca un ruolo molto iportante nella mixability quotidiana di ogni barman, oltre che ingrediente base per molte bibite come succhi di frutta e sciroppi,viene usata molto per la preparazione di drink ipocalorici, energetici, i cosiddetti WELLNESS Drink,si miscela tranquillamente con frutta fresca nella preparazione di frullati di frutta, e cosa di maggior importanza è uno degli elementi base per molti drink storici ed internazionali, il nostro famosissimo e storico sifone del seltz viene preparato  con acqua e di conseguenza ogni drink sul quale verra spruzzato avra acqua come ingrediente,le bottigliette di soda che a sua volta usiamo nei drink sono anche quelle una tipologia di acqua,come del resto lo è anche l’Acqua Tonica.(Americano,Gin Fizz,Skywasser,gin&Tonic,Bitter Shakerati e Sodati,Mojito)

Fabbri

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una storia da raccontare tutta italiana..

Tradizione, passione e vita familiare ; sono parte degli ingredienti che costituiscono la ricetta di molteplici aziende storiche italiane.

Di fatto intorno al 1900 abbiamo assistito allo sviluppo di oggi notissime aziende italiane, spesso nate dall’ intuizione, dal coraggio e dalla lungimiranza italiana; solo per fare alcuni nomi: ” Perugina – 1907 ” – “Lavazza 1895 ” – ” Campari 1904 ” – ” Barilla 1877″ – ” Fabbri 1905 “. L ‘elenco potrebbe continuare, ma per ora ci soffermiamo su quest’ultima realtà.

Gennaro Fabbri nel 1905 a 45 anni crea la premiata distilleria liquori G.Fabbri rilevando una vecchia drogheria in provincia di Ferrara.

negli anni 20 la produzione si sposta a Bologna dove si trova tutt’ora.

La produzione si allarga ed inizia la produzione di sciroppi, sia alcoolici che non.

Iconico prodotto Fabbri è l’Amarena ricetta unica e straordinaria di Rachele Buriani moglie di Gennaro. Prodotto che ebbe un grandioso successo sia per già da allora l’attenzione alla qualità del prodotto che per l’iconico vaso che le conteneva.

Secondo racconti lo storico vaso fu commissionato proprio da Gennaro Fabbri per ringraziare la moglie per aver ideato la ricetta di quel nuovo sciroppo.

I difficili anni intorno al 1930 nonostante i momenti difficili causati dal momento bellico, l’ azienda segna la nascita delle ciliegie con liquore ed l’ampliamento della gamma di prodotti con le confetture.

1935 il bar centrale di Bologna – elegante locale in centro aperto 24 su 24. Precursore dei tempi. In questo locale venivano serviti sciroppi, liquori e gelati ovviamente il tutto realizzato con prodotti Fabbri.

Dalla ripresa del dopo guerra Fabbri si consolida nella produzione di semilavorati per il gelato made in italy e con i suoi prodotti di punta entra tra i primi nel famosissimo Carosello.

Nel 1980 Fabbri sviluppa collaborazioni con aziende partner ampliando e consolidando i mercati esteri.

Oggi Fabbri è al fianco della creatività dei barman supportandoli nelle varie fasce della giornata con i suoi prodotti; a fianco dei pasticceri e chef con i vari prodotti per pasticceria gelateria e frutta.

Fabbri si rivela un’azienda all’avanguardia con gamme di prodotti

Gluten Free – Sugar free – Kosher – Halal e Vegan ok

Bollicine !!

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SPUMANTI

Le origini della spumantizzazione possono essere fatte risalire addirittura a circa un millennio prima dell’era cristiana, a tal periodo risale, infatti, il Libro dei Salmi, nel quale compare Jahvé che sorregge una coppa di vino “spumeggiante”. Dopodichè dobbiamo ai Romani l’inizio di tecniche particolari per la presa di spuma quali:

Aigleucos – che consisteva nel porre il mosto da fermentare in anfore impermeabili che venivano calate in acque fredde per rallentare al massimo al fermentazione.

A Pompei è stata ritrovata una cella vinaria raffreddata in continuazione con acqua fredda ed è da considerare come il primo spumantificio della storia.

Acinatico – molto simile alla precedente ma con mosto ottenuto da uve passite.

La ricchezza di zuccheri contribuiva ancor più a rallentare il processo di fermentazione.

Nel Medioevo la viticoltura, e non solo, registra un periodo di decadenza terribile e la produzione di vini rimane prerogativa dei monasteri. Sarà poi con l’arrivo del Rinascimento e l’attenzione alla qualità della vita, di cui il vino costituisce parte integrante, che la coltivazione della vite ebbe un nuovo splendore. E proprio durante questo periodo si prese coscienza di vini speciali indicati come ispumanti ; si registra inoltre la nascita degli spumanti ottenuti dall’uva Lambrusca, dalla Tosca (Sangiovese) e dal Moscadelletto di Montalcino. Dopo la scoperta dell’America e il conseguente decentramento del commercio , monopolizzato quasi interamente da inglesi e olandesi, la viticoltura italiana soffrì la concorrenza di quella francese; di più facile approvvigionamento attraverso la costa atlantica. Come attenuante per la viticoltura italiana è la precaria situazione politico-economica sofferta negli anni prima dell’unificazione, rispetto a quella francese, sicuramente più stabile.

I metodi più classici di spumantizzazione sono: Metodo Classico (Champenoise, ) e lo Charmat (lungo e corto).

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CHAMPAGNE

 

Definizione

È un vino spumante prodotto e imbottigliato in una zona ben delimitata della Francia, con uve selezionate; è ottenuto dalla rifermentazione in bottiglia e dalla maturazione sulle fecce del vino stesso.

 

Storia:

Furono gli antichi romani a portare per primi i ceppi di Vitis Vinifera Sativa nell’attuale zona di produzione dello champagne. Nel medioevo si iniziarono ad apprezzare i vini di queste terre e la coltura della vite venne sviluppata fino a quando nel XVIII° secolo s’iniziò ad abbandonare la produzione di vino rosso a favore di un tipo di vino che aveva caratteristiche di fermentare una seconda volta in bottiglia, divenendo “frizzante”. Tale metodo venne chiamato “Methode Rurale” , solo agli inizi del novecento fu inventato l’odierno “methode Champenoise” nato dopo quasi due secoli dalla produzione del primo vino frizzante.

Molti furono coloro che accrebbero e migliorarono la produzione di tale prodotto; tra questi vogliamo menzionare Dom Perignon (frate benedettino) che nel 1668 nell’abbazia Benedettinadi Saint-Pierre di  Hautvillers, nella regione dello Champagne nella Valle della Marna, osservando che certi vini dolci non pronti, riprendevano nella tarda primavera a gorgogliare, terminando la fermentazione, trasse l’idea nell’aggiungere zucchero al vino fermo. Aggiunse poi della polvere di acino (pruina), tappò le bottiglie ermeticamente provocando così una seconda fermentazione, direttamente nella bottiglia. I risultati furono catastrofici, poiché tutte le bottiglie esplosero causate dalla pressione che si sviluppava dal processo. Allora dopo essersi recato in Boemia, fece costruire delle bottiglie speciali a vetro triplo (Champagnotte). Viene attribuita a lui anche la tecnica dell’assemblaggio.

Numerose sono state successivamente  le persone che misero a punto il suo metodo di produzione. Così alcuni sostengono “che non ci sia stato un inventore vero e proprio, ma che lo champagne sia un vino che si è fatto da se”. Questa nobile bevanda definita  “il vino dei Re il Re dei vini”, ebbe soprattutto alle Corti Reali d’Europa, un enorme successo.

Oggi l’elaborazione dello Champagne, viene tutelata da un organismo parastatale, istituito nel 1941,il C.I.V.C. (Comitée Intérprofessionnel du Vin de Champagne) che raggruppa i rappresentanti dei vignaioli, dei negozianti e dei commercianti. Il C.I.V.C. detta regole precise riguardo il territorio,i limiti di produzione,i vitigni autorizzati,la resa massima per ettaro,la resa alla torchiatura,oltre ad allevamento, conduzione e potatura della vigna.

 

Geografia e Terreno

Lo Champagne è prodotto nella zona più settentrionale della Francia,al limite nord della viticoltura europea;la suddetta zona che si estende per 35.000 ettari,è stata  delimitata ufficialmente da una legge del 22/7/1927,è situata a 150 km a nord est di Parigi e si suddivide in più regioni:  “Montagne de Reims”, “Vallée de la Marne”, “Còte des Blancs” e “Vignobles de l’Aube”, oltre a “Còte de Sézanne”. La regione dello Champagne, comprende 251 zone e Crus diversi,ognuno con il suo carattere proprio. Una scala di valori indica la classificazione dei vigneti o Crus,da 80% a 100%. Esistono 17 villaggi classificati al 100% e 40 Pr.Cru. Lo Champagne “Grand Cru” proviene da vigneti quotati 100%, mentre lo Champagne “Premier Cru” proviene da vigneti quotati da 90 a 99%. La Champagne, che si estende per circa 120 km, con una larghezza variabile tra i 100 e i 2000 mt, ha un sottosuolo molto particolare, composto da uno strato gessoso e calcareo che raggiunge lo spessore di 200 mt (craie).

La zona dello Champagne gode di una costituzione geologica particolare del terreno dovuta:

In origine alla presenza del mare in questa regione,

dal ritirarsi del mare ca. 70 milioni di anni fa, che ha lasciato un sedimento gessoso(craie) dello spessore medio di 200 metri,

da 2 terremoti, il primo 20 milioni di anni fa rompendo la crosta di gesso e sollevando il terreno, impregnandolo di elementi marini e di minerali; il secondo avvenuto 10 milioni di anni fa, ha portato alla formazione di un terreno collinare.

Il terreno gessoso e la presenza di fossili marini (Belemnita quadrata), sono le caratteristiche particolari del sottosuolo della zona dello Champagne. La base del terreno è ricoperta da uno strato di terra arabile assai magra, d’uno spessore che varia dai 20 ai 50 cm, su cui sono piantate le vigne. I ceppi delle viti affondano le radici fino a 3-4 mt di profondità nel gesso, traendo nutrimento dalle sostanze minerali.

La presenza del gesso nel sottosuolo ha vari vantaggi: immagazzina il calore del sole di giorno, per restituirlo gradualmente alla vite durante le serate fresche, garantisce un drenaggio perfetto, raccoglie l’eccessiva umidità mantenendone un livello costante.

 

Clima

La fortunata posizione di questa regione è accresciuta dall’alternarsi di un mite clima atlantico a uno rigido continentale. La morfologia della regione consente lo svilupparsi di microclimi particolarmente favorevoli alla coltura della vite.

Il clima è vario, caratterizzato dalla mitezza atlantica e dalla rigidità continentale. Le foreste e i boschi che circondano la regione riescono a filtrare le correnti umide; la temperatura media annua si aggira intorno ai 10,5°,non lontano dal minimo 9,5°sotto il quale l’uva non può maturare. Le vigne ricevono annualmente circa 1537 ore di sole,mentre la media annua di pioggia è sui 660 mm.

 

Vigna e Vitigni                                                                                

La disciplinare del 22/07/1927 delimita la regione di produzione in 35000 ha. Le autorizzazioni ad inserire nuovi impianti e reimpianti sono strettamente regolamentate.

I vitigni autorizzati sono:

PINOT NOIR dona corpo,forza,struttura, vigore.

PINOT MEUNIER infonde fruttato e freschezza.

CHARDONNAY dona eleganza e finezza.

La resa di produzione è controllata al fine di garantire una qualità superiore.

Alcuni accorgimenti sono:

la distanza tra i filari di vigna inferiore o uguale a 150cm.

La distanza tra i ceppi di vite dello stesso filare da 90 a 150 cm

La somma delle due distanze deve essere inferiore a 250 cm.

Allo scopo di mantenere i grappoli abbastanza vicini al terreno favorendone la loro maturazione è regolamentata anche l’altezza massima per cui sono consentiti due sistemi di potatura:

Potatura corta a Chablis o a Cordone (Royat)

Potatura Guyot e Valle della Marna

Per i grandi crus e i premiers crus sono ammesse solo le potature a Chablis e Cordon Royat perché danno uve di maggiore qualità.

Per lo Chardonnay e Pinot nero la potatura deve essere obbligatoriamente effettuata a Chablis, Cordon Royat o Guyot. La potatura Valle della Marna è autorizzata solo per il Pinot Meunier.

 

Processo Produttivo

Vendemmia

La raccolta delle uve è fatta a mano al fine di scartare gli acini danneggiati, i quali altererebbero il colore del mosto, o non perfettamente maturi (Operazione detta épluchage). I grappoli vengono raccolti in speciali cesti di vimini di piccole dimensioni chiamati “Mannequins”, successivamente avviati alla torchiatura su carri ammortizzati affinché gli acini non vengano schiacciati durante il trasporto.

Torchiatura

Al momento della vendemmia, la cui data è stabilita da un bando della Prefettura, su consiglio del CIVC, le uve sono raccolte manualmente.

La spremitura (pressurage) soffice è effettuata in particolari torchi (coquards) bassi e larghi, dalla capacità di 4000 kg di uva affinchè il succo non si colori a contatto delle bucce, sono torchi circolari la cui particolarità consiste in una spremiture morbida, lenta e controllata.

Il torchio viene caricato di un marc ,ossia 4000 kg, con uva proveniente esclusivamente dallo stesso cru (zona di produzione).

La torchiatura avviene senza frantumare la buccia impedendo così la colorazione del mosto, dopodichè viene grossolanamente filtrato e depositato nel primo tino : il belon.

Da 160 kg. di uva torchiata si ricavano 102 litri di mosto,equivalenti a 100 litri di vino per complessivi 2550 litri di mosto ogni marc.

Questi 2550 litri di mosto sono così suddivisi:

2050 litri di cuvée (ossia 10 piéces o botti da 205 litri di mosto fiore o mosto di prima spremitura)

500 litri di taille (il mosto della seconda spremitura).

Ad ogni vendemmia viene  fissato per Decreto il grado alcolico minimo che devono avere i mosti per poter essere vinificati per produrre lo Champagne.

I grappoli torchiati, quindi le vinacce (in francese “marcs”) costituiranno la base per ottenere una profumatissima grappa di Champagne: “Marc de Champagne”.

Débourbage

Dopo la torchiatura, il mosto, sempre suddiviso per crus, viene lasciato riposare per circa 12 ore nei tini di “debourbage” ovvero di decantazione per semplice gravità, contrassegnati dalla zona di provenienza. Si impiega questo procedimento per far precipitare le particelle solide sul fondo dei tini o vasche.

Vinificazione

Grazie ai lieviti presenti sugli acini, che durante la pigiatura sono finiti nel mosto, inizia la bollitura, chiamata anche prima fermentazione alcolica che avviene generalmente in vasche di acciaio inossidabile ma che pochissime grandi case, come Krug, Alfred Gratien e Bollinger(per i suoi millesimati) utilizzano tini in legno. La prima fermentazione avviene ad una temperatura controllata e costante di circa 20/22°C. Questo processo dura circa tre settimane, alla fine delle quali il mosto viene raffreddato, per favorire la precipitazione dei depositi. A questo punto si avrà il vino base, fermo, che conserva le caratteristiche del cru di provenienza.

Assemblage

E’ forse la fase più delicata perché affidata esclusivamente all’abilità dell’uomo. I vini dei diversi crus, tenuti fino ad ora distinti, vengono assemblati tra loro in quantità e proporzioni precise, determinate e variabili di anno in anno, incorporando anche vini di annate diverse, amalgamati per ottenere la cuvée unica e particolare di ogni casa di Champagne, rappresenta la costanza, assicurando la continuità e la tipicità di gusto di ogni azienda. Questo difficilissimo compito è affidato agli Chef de cave delle singole aziende, ognuno geloso dei suoi segreti.

Imbottigliamento (tirage)

Dopo un ulteriore filtraggio, alla cuvée , vengono aggiunti fermenti naturali di Champagne (lieviti selezionati e coltivati dai ceppi presenti sugli acini) e zucchero di canna (“liqueur de tirage”). Le bottiglie scure e spesse,vengono tappate con un cilindro di plastica fatto a “U” (bidule) e un tappo a corona.

Presa di spuma e invecchiamento

Le bottiglie, accatastate in posizione orizzontale, “sur lattes” una sull’altra, nelle cantine buie e fresche scavate spesso nel sottosuolo (in quanto più bassa la temperatura migliore sarà la finezza del perlage), vengono lasciate riposare per permettere la formazione all’interno delle bottiglie dell’effervescenza naturale (Prise de Mousse). Gli speciali lieviti trasformano, infatti, lo zucchero in alcool etilico e anidride carbonica, poiché 4g di zucchero sviluppano 1 atm di pressione, occorre aggiungerne 22-24g/lt per ottenere una pressione di 5-6 atm (come previsto dalla legge). E’ un processo lungo che dura parecchi mesi (la lentezza del fenomeno garantisce la formazione di una spuma sottile e persistente), seguito poi dall’invecchiamento di alcuni anni.

Al termine della rifermentazione (con l’aumento del grado alcolico), avviene un periodo di “maturarazione sui lieviti” che dura 36 mesi (almeno 12 per legge), in questo periodo (importantissimo per la qualità del bouquet e la finezza del perlage), le bottiglie vengono regolarmente ispezionate e agitate brevemente (coup de poignée).

 

Remuage

Concluso il periodo di maturazione, all’interno delle bottiglie si è formato un deposito di lieviti esausti dopo un processo di autolisi (rottura delle cellule del lieviti dovuta alla morte degli stessi), visibile controluce che deve essere eliminato. Inizia così una nuova fase: le bottiglie vengono infilate con il collo verso il basso nelle pupitres, speciali cavalletti in legno caratterizzati da particolari fori sagomati; dove i remueurs ruotano quotidianamente le bottiglie  di 1/8 di giro e progressivamente le porta in posizione quasi verticale (l’operazione dura fino a 2 mesi a seconda delle esigenze aziendali). Questo procedimento chiamato “Remuage” ha lo scopo di depositare le fecce nella “bidule” (contenitore in plastica che serve a raccogliere i sedimenti) posta sotto il tappo. Attualmente questo procedimento puramente meccanico è riprodotto con sistemi automatizzati chiamati “giropalettes” programmati da computer che riproducono i movimenti dell’uomo aumentando la produttività

Al termine del remuage le bottiglie sono ammassate capovolte, con il collo in giù (sur pointe).

Degorgement

Questa operazione serve a eliminare i residui che si sono depositati nelle bidule. Lo Chef de cave provvederà a visionare che tutti i lieviti esausti abbiano raggiunto il collo della bottiglia attraverso un’operazione denominata “mirage”. La sboccatura può essere effettuata in due modi:

“A la volée” (vecchio metodo): ove il dégorgeur, usando una apposita pinza (de homard), inclina la bottiglia verso la “guarite”e fa saltare il tappo.

“A la glace” immergendo il collo della bottiglia in una soluzione refrigerante (glicol) a -25°, che forma un piccolo ghiacciolo di fecce che viene espulso stappando la bottiglia grazie alla pressione interna.

E’ il momento del “remplisage” per colmare le bottiglie, visto che oltre alla bidule è stata espulsa una certa quantità di vino e stabilire il gusto finale con il “dosage”.

Si aggiunge allo champagne le “liqueur d’expédition” o de “dosage”(una miscela di zucchero di canna, lo stesso vino, vini vecchi e a volte Cognac), in quantità variabile a seconda del gusto che si vuole ottenere.La macchina riempitrice è isobarica. Se il dosage è fatto solo con lo stesso vino, avremo uno champagne pas dosé o dosage zero o brut zero.

In relazione al contenuto zuccherino si avranno le seguenti denominazioni:

brut zero           gr/l       0          brut nature         gr/l    0-3

extra brut          gr/l    3-6          brut                  gr/l    <15

extra dry           gr/l 12-20         sec – dry           gr/l 15-35

demi sec           gr/l 35-50         doux                 gr/l    >50

Quando non avviene l’aggiunta de la liqueur de expedition o dosage,lo Champagne prenderà il nome di “Pas dosè”. La bottiglia viene, quindi, tappata (bouchage) con il definitivo tappo di sughero assicurato dalla ben nota gabbietta di filo metallico (muselet). Dopo il “poignettage” (leggero scuotimento per dissolvere perfettamente le liqueur nella bottiglia) si procede al lavaggio e all’etichettatura (habillage). Le bottiglie vengono portate di nuovo in cantina affinché il vino si stabilizzi; le cantine, scavate profondamente nel sottosuolo di gesso, della Champagne sono ideali anche per quest’ultima fase della lavorazione, perché intesse vi è naturalmente una temperatura uniforme tutto l’anno, attorno agli 11/12°C, umidità costante, buio e totale assenza di vibrazioni: le migliori condizioni possibili per l’elaborazione, l’invecchiamento e la conservazione dello Champagne.

 

Tipologie di Champagne

Sans année: è un assemblaggio di vini (10/20) aventi caratteristiche diverse ai quali possono essere aggiunti anche vini di annate precedenti (non più del 30%), è quello che meglio rappresenta lo stile caratteristico e le qualità costanti di ogni “maison”.

Rosé: ottenuti o aggiungendo del vino rosso (da pinot noir) prima della seconda fermentazione o attraverso vinificazione in rosato da uve nere.

Blanc de blanc: solo da uve chardonnay.

Blanc de noir: solo da uve nere.

Crémant: è prodotto in modo da sviluppare meno anidride carbonica; durante il”tirage”, si aggiungono “solo” 16 gr di zucchero invece di 24, per ottenere una pressione interna di 3,5 atm; dal 31-8-1994, tale denominazione non può più essere usata per lo champagne.

Millésimé: prodotto solo in annate eccezionali e da vini della stessa annata,che deve essere riportata in etichetta.

Cuvée de Prestige: rappresenta il fiore all’occhiello di alcune case produttrici.

Coteaux champenois: è una denominazione ai vini tranquilli prodotti in champagne.

 

Scala volumetrica delle bottiglie

Nome  Capacità         Bottiglie

Split  (quarto)                0,187               1    flute

Mezza                          0,375                2    flutes

Bottiglia                        0,750                6-8  flutes

Magnum                       1,5                   2   bottiglie

Jeroboam                      3                     4   bottiglie

Rehoboam                    4,5                   6   bottiglie

Mathusalem                  6                      8   bottiglie

Salmanazar                   9                      12  bottiglie

Baltazar                        12                    16  bottiglie

Nabucodonosor            15                     20  bottiglie

Salomon                       18                    24  bottiglie

Primato                        21                    28  bottiglie

 

Indicazioni sull’etichetta

Sull’etichetta dello Champagne figura sempre la tipologia del produttore rappresentata da una sigla:

N.M. – Negotians Manipulants – questa sigla, rappresenta tutti i produttori che possono avere o non avere vigne proprie ma con l’obbligo di possedere una sola cantina d’imbottigliamento.

N.D. – Negociant Distributeur – commerciante che acquista champagne imbottigliato e l etichetta col proprio nome

R.M. – Recoltants Manipulants – con questa sigla, si identificano i contadini imprenditori, che producono champagne dalle proprie uve potendo acquistare solo il 5% da altri.

N.N.M. – Negotiants non Manipulants – si tratta di grossisti che comprano i loro Champagne dai produttori e lo distribuiscono con le proprie etichette.

M.A. – Marque Auxiliaries – questa sigla può rappresentare gli N.M., gli N.N.M., le cooperative o cantine sociali. Rende obbligatorio il nome del produttore, a meno che chi acquista lo Champagne non lo sbocchi personalmente.

C.M. – Cooperatives Manipulants – sono cooperative che spumantizzano con le uve dei soci.

N.A. – Negotiants Agree – questa rara sigla indica Champagne la cui etichetta è stata ottenuta per matrimonio.

R.D. – Recemment Degorgé – di recente sboccatura; Champagne di alta qualità, in genere millesimati, maturati in bottiglia per lungo tempo. Sono sboccati qualche mese prima dell’immissione a consumo. Il termine “R.D.” è stato brevettato dalla Bollinger, capofila di questo tipo di Champagne

R.C. – Recoltants Cooperatuer – si intende contadini che producono Champagne in cooperativa

S.R. – Societè de Recoltants – società di viticoltori che producono Champagne

 

Servizio

Il momento di servire uno Champagne rappresenta per il barman, come per il sommelier, l’occasione di essere più che mai protagonista, non solo per il gruppo di clienti cui tale servizio è destinato, ma sovente anche per i vicini, se non altro epr il “botto” o dall’aspettativa di esso, che inevitabilmente focalizza l’attenzione generale sull’officiante rito della stappatura.

Gli Champagne sono i vini più versatili che esistano, dall’aperitivo al dessert, senza essere mai escluso.

La bottiglia che deve essere servita va raffreddata per tempo e non bruscamente perché potrebbe rovinare il vino ( i francesi dicono che il vino si spezza se messo nel congelatore). Lo Champagne va servito freddo, ma non ghiacciato, ad una temperatura intorno ai 6° 8°C nel secchiello apposito con ghiaccio ed acqua. Il bicchiere più adatto è la flute, poiché la forma allungata valorizza i profumi e agevola la formazione del perlage.

Per stappare una bottiglia bisogna per prima cosa togliere la parte superiore della carta stagnola che ricopre il collo della bottiglia e poi la gabbietta (si possono anche eliminare assieme), mentre si effettua questa operazione è opportuno tenere sempre un dito sopra al tappo per evitare il pericolo che possa aprirsi all’improvviso. Bisognerà dunque con una mano impugnare la bottiglia e con l’altra il tappo, si ruoterà quindi  la bottiglia per agevolare la stappatura.

Se si dispone di una sciabola si può tentare un’apertura più originale dando un colpo secco di traverso, nel mezzo del collo della bottiglia, mirando alla linea di satura che la percorre verticale. Il vetro salta, lasciando fluire una piccola cascata briosa su un taglio perfettamente liscio.

Lo Champagne deve essere versato  tenendo la bottiglia per il fondo e mai per il collo. L’operazione deve essere fatta con la dovuta lentezza, per evitare che la spuma fuoriesca dal bicchiere ed in ogni caso il bicchiere non deve essere riempito per più di due terzi.

 

Glossario

Assemblaggio: miscela di vini per la produzione dello Champagne.

Aube: fiume affluente della Senna che dà il nome all’omonimo dipartimento a sud della Valle della Marna.

Bidule: cilindro di plastica fatto a “U” per raccogliere le fecce che si sono formate durante la rifermentazione.

CIVC: Comitè Interprofessionel du Vin de Champagne, comitato a tutela dello Champagne.

Coteaux Champenoise: Vino AOC (appellation d’origine controllée) prodotto nella regione dello Champagne.

Crayères (cave di gesso): risalgono all’epoca romana, sono utilizzate dai produttori come cantine, ove la temperatura è ideale,bassa e costante,tra i 10°e 11°C, con un’umidità costante del 70-90%; esse sono state dichiarate monumento nazionale. Attualmente si estendono sotto i vigneti oltre 200 km di gallerie destinate a cantine che raggiungono anche i 40 mt di profondità.

Cremant: vino spumante a bassa pressione, detto a mezza spuma, a 3,6 bar. Questo termine è ormai in disuso nella Champagne poiché è possibile utilizzarlo in altre zone.

Cru: vino proveniente da un unico vigneto di particolare vocazione.

Cuvée: partita ottenuta attraverso l’assemblaggio di vini diversi, tra loro complementari sotto il profilo compositivo e sensoriale, per raggiungere una certa caratterizzazione e persistenza nella personalità di un determinato Champagne.

Dom Pérignon: frate benedettino inventore della rifermentazione in bottiglia e della tecnica dell’assemblaggio. Nato a Sainte-Ménehould nel 1638, effettua i suoi studi  presso i gesuiti per poi prendere la via ecclesiastica, nel 1668 viene nominato cellario dell’abazia di Saint-Pierre ad Hautvillers. Morì nel 1715.

Fine de la Marne: brandy ottenuto dallo Champagne.

Fraçoise (Jean-Baptiste, 1792-1838): studiò a lungo la rottura delle bottiglie durante la rifermentazione a causa della pressione troppo forte per il vetro e riuscì a perfezionare il liqueur de tirage per eliminare questo problema capendo che la pressione è legata alla quantità di zuccheri aggiunti.

Gyropalette: Sistema Meccanico per effettuare il remuage. Sono dei grandi scaffali che contengono 504 bottiglie montati su giroscopi e pilotati da computer.

Liqueur de tirage:  miscela di vino, zucchero di canna e lieviti appositamente selezionati per dare il via alla seconda fermentazione.

Liqueur d’expedition: miscela segreta per ogni casa produttrice che viene aggiunta al termine della produzione dello Champagne, generalmente contiene zucchero, in percentuali diverse a seconda del tipo, vino della stessa annata o di quelle precedenti e talvolta cognac.

Marc de Champagne: distillato di ribeche, le fecce, ottenute dalla pigiatura delle uve per la produzione dello Champagne.

Millesimato: Champagne ottenuto da uve di un’unica vendemmia di annate particolari. L’anni viene riportato in etichetta.

Mise sur pointes: espressione che indica la posizione rovesciata che assume la bottiglia alla fine del remuage.

Perlage: fenomeno originato dalla liberazione dell’anidride carbonica all’interno dello spumante con formazione di bolle più o meno fini e più o meno concatenate.

Pupitres: speciali cavalletti in legno caratterizzati da particolari fori sagomati usati per il remuage.

Sabler le Champagne: espressione che si usa per bere lo champagne in un sorso solo, alla moda russa senza rompere il bicchiere.

Sciabolata: apertura della bottiglie tramite un colpo di sciabola che rompe il collo della bottiglia, con la pressione interna il vetro non entra a contatto con il vino.

 

 

ISTITUTO TALENTO

Fondato nel 1975 come Istituto Italiano Metodo Champenois, dai produttori Antinori, Carpené, Contratto, Ferrari, Gancia e La Versa, con lo scopo di promuovere e tutelare la spumantistica italiana di qualità. Il cambio di nome è avvenuto nel 1996, con la registrazione del marchio “Talento”, ideato per rappresentare in Italia lo spumante “Metodo Classico”, in quanto la menzione “Champenois” è consentita da quell’anno solo nel territorio francese. Fino al 2004 l’Istituto ne aveva l’uso esclusivo, quindi solo le aziende associate potevano fregiarsi della menzione “Talento” sulle proprie bottiglie di spumante. Con il decreto del 30 dicembre 2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.12 del 17 gennaio 2005 “La menzione “Talento”, indicante una qualità superiore ai sensi del regolamento CE n.1493/1999, allegato VIII, sezione E, paragrafo 8, è riservata e protetta esclusivamente per la designazione e presentazione dei vini spumanti di qualità prodotti in regioni determinate (V.S.Q.P.R.D.) e dei vini spumanti di qualità (V.S.Q.) italiani elaborati con il metodo classico.

METODO CHARMAT

Il metodo Charmat è un sistema di fermentazione in grandi recipienti. Le differenze fondamentali rispetto al metodo classico è nella rapidità del processo produttivo e che la presa di spuma avvenga in un’unica autoclave. Tutte queste operazioni, compreso l’imbottigliamento, avvengono in condizioni isobariche.

La normativa UE prevede che il tempo tra l’inizio della rifermentazione e la commercializzazione non possa essere inferiore ai 30 giorni.

Per i vini V.S.Q. e V.S.Q.P.R.D. la normativa UE prevede che la durata della loro permanenza sulle fecce non sia inferiore ad ottanta giorni (ridotti a trenta se l’autoclave è munito di agitatore) e che il periodo dell’inizio della rifermentazione e la loro commercializzazione non sia inferiore a 6 mesi.

Per la produzione di uno spumante particolarmente aromatico, dunque con un bouquet più ricco, con sentori dovuti al contatto con i lieviti, si può far maturare un periodo più lungo in loro presenza (ciclo a Charmat lungo).

Fu il casalese Federico Martinotti, direttore per l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, ad inventare negli anni venti il metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti, poi adottato dal francese Charmat.

Il Metodo Martinotti permette di ottenere spumanti, spesso dolci, dalle caratteristiche note fruttate, per mezzo di recipienti a tenuta stagna tipo autoclave. Questo metodo ha trovato diffusione poiché risulta più veloce ed economico rispetto al metodo classico o metodo Champenoise.

Il francese Eugène Charmat intorno al 1910 costruì e brevettò tale attrezzatura, da qui il doppio nome, metodo Martinotti-Charmat. In sostanza il metodo prevede una seconda fermentazione del vino in grandi contenitori, di solito in acciaio, presurizzati, le autoclavi appunto. Questa la differenza principale dal metodo Champenoise in cui la fermentazione viene effettuata in bottiglia.

Questo metodo ha il pregio di diminuire i tempi e i costi della spumantizzazione, la seconda fermentazione avviene in grandi recipienti chiusi denominati autoclavi, simili a grandi silos, in acciaio e termocondizionabili, di capacità variabile da 10 a 1.000 e più ettolitri. Le tecniche utilizzate, le uve di provenienza e il tempo necessario al processo produttivo fanno sì che il metodo si distingua in Charmat corto e Charmat lungo. In entrambi i casi, si prevede innanzitutto l’aggiunta del liqueur de tirage al vino base, contenuto nelle autoclavi, per poi dare il via alla seconda fermentazione.

Utilizzando il metodo Charmat corto la presa di spuma dura circa due settimane e si svolge ad una temperatura di 14°-15°C, con formazione di pressione tra le 4 e le 5 atmosfere. Conclusa questa fase, lo spumante risulta secco e, per ottenere spumanti dal gusto più o meno dolce, si deve interrompere la fermentazione abbassando la temperatura: in questo modo, nel vino rimane la quantità di zuccheri residui necessaria a conferire la variabile di dolcezza desiderata. Al termine della fermentazione, l’autoclave viene refrigerata e il vino è sottoposto a filtrazione sterile. Quindi, esso viene travasato nell’autoclave d’imbottigliamento isobarico, dove non subisce perdite di pressione. L’intero procedimento del Charmat corto dura dalle tre alle sei settimane ed è utilizzato prevalentemente per gli spumanti aromatici, poichè la breve durata ne preserva le tipiche e naturali note fruttate e le caratteristiche di freschezza e fragranza. E’ questo il metodo con cui si producono l’Asti Spumante e il Prosecco.

Il metodo Charmat lungo, o metodo Cavezzani, è un sistema messo a punto tra il 1970 e il 1980 dall’enologo trentino Nereo Cavezzani. La base del sistema è il metodo Charmat ma, in questo caso, durante la fase fermentativa della durata di 30-40 giorni, il vino viene mescolato turri i giorni con agitatori ad elica che vengono inseriti nelle autoclavi. Gli agitatori entrano in funzione non solo durante la fermentazione, ma anche, almeno una volta alla settimana, nel periodo di maturazione che segue la presa di spuma. La loro funzione è di rimescolare ad intervalli stabili lo spumante: in questo modo si impedisce alle fecce di depositarsi sul fondo e, rimettendo in circolazione i lieviti esauriti, si facilita la formazione della fragranza del bouquet, tipica degli spumanti classici, i quali, in ogni caso, maturano sui lieviti per periodi più lunghi. Con il metodo Charmat lungo, la maturazione in autoclave ha una durata variabile da 6 a 12 mesi e lo spumante deve restare almeno 80 giorni sulle fecce. Usando questo metodo, è molto importante mantenere le basse temperature durante tutte le fasi di vinificazione, poichè è il freddo che consente di creare e mantenere un perlage molto fine e persistente. Un’altra caratteristica è l’impiego della filtrazione sterile a freddo, che consente di ottenere spumanti con note di freschezza e fr5agranza tali da poter competere, a parità di qualità delle uve, con quelli prodotti attraverso il metodo Classico. Al termine della maturazione lo spumante è filtrato, addizionato con il liqueur d’expédition ed imbottigliato isobaricamente: resterà in bottiglia per un periodo d’affinamento variabile tra i 6 e i 12 mesi. I diversi dosaggi di liqueur d’expédition o gli zuccheri residui determinano il grado di dolcezza. Tutti gli spumanti, ottenuti sia tramite metodo classico che Charmat, sono pronti per essere consumati quando escono dalle cantine della casa di produzione, come gli Champagne. Pertanto, non giova tenerli in cantina per periodi troppo lunghi, ed è preferibile conservarli non oltre l’anno. Ciò vale soprattutto nel caso degli spumanti aromatici, pena la perdita della caratteristica fragranza del bouquet.

 

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PROSECCO

 

Il prosecco di Valdobbiadene nasce da una tradizione antica che si è trasformata ed adattata nei secoli, attraverso l’evoluzione delle conoscenze tecniche fino ad arrivare al vino dei giorni nostri. Una storia codificata oggi nel Disciplinare, che regola la produzione delle uve e dei vini, fissando i principi-base in virtù dei quali un vino può fregiarsi della denominazione “Conegliano-Valdobbiadene”.

 

Cinque sono le regole fondamentali:

  • Le uve devono provenire da vigneti dell’area delimitata per legge, i quali devono essere iscritti all’Albo della Camera di Commercio
  • le varietà ammesse sono solo le uve di Prosecco e Verdiso (quest’ultimo per un massimo del 10%);
  • la vinificazione deve essere eseguita secondo le norme previste dal Disciplinare e può avvenire solo all’interno dei comuni della zona Doc. Per il Cartizze la vinificazione può avvenire solo all’interno del comune di Valdobbiadene;
  • l’imbottigliamento e la spumantizzazione possono essere eseguite solo nelle cantine della provincia di Treviso;
  • la commercializzazione può avvenire solo se ogni partita di vino, prima dell’imbottigliamento, ha superato l’esame organolettico eseguito dalla commissione di enologi della Camera di Commercio.

 

Cinque regole semplici ma molto precise pensate per garantire ai consumatori una origine certa ed una qualità eccellente che ogni produttore deve rispettare se vuole avvalersi della denominazione “Conegliano-Valdobbiadene”,.

La zona di produzione del “Prosecco di Conegliano – Valdobbiadene” comprende il territorio collinare dei comuni di Conegliano, S. Vendemmiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, Follina, Miane, Valdobbiadene, Vidor, Farra di Soligo, Pieve di Soligo, S. Pietro di Feletto, Refrontolo, Susegana. Se è ottenuto da uve raccolte nel territorio della frazione di S. Pietro di Barbozza, denominato Cartizze, del comune di Valdobbiadene, ha diritto alla sottospecificazione “Superiore di Cartizze”. La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino “Prosecco di Conegliano – Valdobbiadene” è di q.li 120 per ettaro di vigneto in coltura specializzata. La resa massima di uva in vino non deve essere superiore al 70%. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino una gradazione alcolica complessiva minima naturale non inferiore a 9,5 gradi ed al vino con la sottospecificazione geografica “Superiore di Cartizze”, una gradazione alcolica complessiva minima naturale non inferiore a 10 gradi.

La denominazione è il traguardo finale di un percorso lungo ed attento, che inizia nel vigneto. Innanzi tutto dall’impianto delle viti, che deve avvenire con barbatelle selezionate, su terreni ben esposti e preparati affinché possano accogliere le giovani viti che, solo dopo 3-4 anni, sono in grado di dare i primi grappoli. E poi la potatura, che deve essere quella tradizionale. Un’operazione invernale eseguita da mani esperte, perché ogni vite, a seconda dell’età e del vigore, possa produrre il giusto numero di grappoli. In primavera, la concimazione, gli sfalci dell’erba, le cimature, le sfogliature e la legatura dei germogli per far sì che in ogni momento i grappoli siano arieggiati e soleggiati per maturare al meglio. Arrivata l’estate, i trattamenti contro i parassiti eseguiti, nelle zone più scoscese, anche con l’utilizzo dell’elicottero, che volteggia rumoroso tra i vigneti per distribuire, con scientifica precisione, il rame e lo zolfo, prodotti con i quali, ancora oggi, i viticoltori riescono a fronteggiare l’arrivo dell’oidio e della peronospora.

 

La vendemmia

Momento atteso con trepidazione, nel quale la soddisfazione per il lavoro eseguito va di pari passo con la paura, la preoccupazione che, all’ultimo momento una pioggia o una grandinata possano rovinare il lavoro di un anno.

Il Consorzio di tutela, a metà agosto, inizia a controllare la maturazione dell’uva, impartisce gli ultimi consigli ai produttori su sfogliature e diradamenti e, nel corso di una riunione pubblica alla quale partecipano i viticoltori, dà il via alla vendemmia per le diverse zone. Questo per fare in modo che le uve siano raccolte al momento ideale.

La pressatura

La pressatura ha luogo quando l’uva, vendemmiata a mano e raccolta nei diversi vigneti, viene portata in cantina, luogo nel quale iniziano le lavorazioni. Di queste la prima è la pressatura, un’operazione importante e molto delicata, che condiziona la qualità del vino-base. Questo intervento viene condotto utilizzando macchine molto sofisticate, che agiscono sugli acini in modo soffice, così da estrarre solo il mosto fiore che proviene dal cuore dell’acino.

Il disciplinare prevede che da 100 kg. di uva si possano ottenere al massimo 70 litri di vino. Dalle vinacce ancora umide si ottiene poi, per distillazione, la profumata e leggera grappa di “Prosecco”. Per questo, si può senz’altro dire, che nulla va sprecato.

La decantazione

Prevede che, dopo la pressatura il mosto torbido venga lasciato riposare a freddo (5-10°C) in vasche di acciaio. Trascorse circa 10-12 ore, la parte limpida del mosto viene separata dal deposito e avviata alla fermentazione.

La vinificazione

Avviene grazie ai fermenti naturali che, aggiunti al mosto, provocano la fermentazione alcoolica. La vinificazione si compie in vasche di acciaio ad una temperatura costante di 18~20o C e dura circa 15-20 giorni. Normalmente le uve provenienti da un singolo vigneto vengono vinificate insieme ed ogni cantina conserva le diverse partite separate. Dopo la fermentazione per il vino, già carico dei suoi profumi, inizia il periodo di maturazione: le basse temperature dei mesi di novembre e dicembre favoriscono la precipitazione dei depositi. Così lentamente il vino inizia ad illimpidire.

La presa di spuma

Avviene quando il vino-base si è illimpidito. Solo allora si procede alla spumantizzazione, operazione nella quale lo stile, il gusto e l’esperienza dell’enologo svolgono un ruolo decisivo. Le diverse partite di vino-base presenti in cantina, dopo un attento assaggio, vengono assemblate: i vini che fino a questo momento sono stati tenuti distinti per provenienza, epoca di vendemmia e caratteristiche organolettiche, vengono riuniti in proporzioni precise, tali da raggiungere un perfetto equilibrio fra tutte le componenti. Solo qualche rara partita (cru), che già in vigneto era apparsa dotata di un particolare stile o di un equilibrio perfetto, viene spumantizzata in purezza. Dopo questa operazione, il vino tranquillo, al quale sono stati aggiunti zucchero e fermenti naturali, viene messo in autoclavi (recipienti a tenuta di pressione) all’interno delle quali, lentamente, cominciano a svilupparsi le bollicine ed i caratteristici aromi che contraddistinguono il “Conegliano-Valdobbiadene”.

Verso la fine della presa di spuma, abbassando opportunamente la temperatura si fa in modo che la fermentazione si fermi, lasciando la quantità di zuccheri tale da garantire, per ogni vino, l’equilibrio e l’armonia desiderati. Conclusasi la fermentazione il vino, rimasto ancora per qualche tempo a riposare nei lieviti, viene imbottigliato.

L’imbottigliamento

Per l’imbottigliamento a seconda del tipo di vino vengono usate bottiglie diverse, la Renana o la Borgognona per il Tranquillo, la Champagnotta per il Frizzante e la classica Prosecco per lo Spumante, tutte di colore verde, che garantisce la protezione del vino dalla luce. Ogni bottiglia viene prima sciacquata e poi riempita, tappata con il classico tappo di sughero e vestita con l’etichetta. Le bottiglie vengono poi riposte in cantina al buio, dove riposano a temperature ed umidità costanti, permettendo in questo in modo al vino di maturare. Dopo 30-40 giorni il vino è pronto per essere spedito.

 

Tipologie e abbinamenti
Le diverse tipologie

Il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene DOC nasce da precise regole che ne garantiscono l’unicità e l’autenticità e da una tradizione che, pur adeguandosi ai cambiamenti avvenuti, ha conservato nel tempo un’identità precisa ed inconfondibile. Tranquillo, Frizzante o Spumante, il Prosecco DOC di Conegliano Valdobbiadene si riconosce per il colore paglierino leggero, per la moderata corposità, per l’esclusivo profumo fruttato e floreale. Ecco una breve descrizione delle caratteristiche dei diversi tipi di vino prodotti.

Prosecco DOC di Conegliano-Valdobbiadene Spumante

Il Prosecco Spumante esprime pienamente il suo carattere agile ed al tempo stesso energico ed è prodotto prevalentemente in due versioni, l’Extra Dry ed il Brut. Nella prima la rifermentazione si interrompe quando ancora rimane una piccola percentuale di zuccheri (12-20 gr/l) nella seconda è condotta quasi alla fine (15 gr/l massimo) in modo che lo Spumante diventi più secco e asciutto.

Brut
È il Prosecco più moderno ed ha un grande successo internazionale. Si caratterizza per profumi più ricchi di sentori di agrumi e di note vegetali, che si accompagnano con una piacevole nota di crosta di pane, unita ad una bella e viva energia gustativa. Il perlage fine, assicura la persistenza del sapore e la pulizia del palato, rendendolo a tavola, lo spumante per eccellenza. Da apprezzare servito a 7-9° C su antipasti di pesce e verdure anche elaborati, primi con frutti di mare e piatti di pesce al forno o, come è in uso nella zona di produzione, a tutto pasto.

Extra dry

È il Prosecco “classico”, la versione che combina l’aromaticità varietale con la sapidità esaltata dalle bollicine. Il colore è paglierino brillante ravvivato dal perlage.  L’aromaticità è fresca e ricca di profumi di frutta, mela, pera, con un sentore di agrumi che sfumano nel floreale. In bocca il vino è morbido e al tempo stesso asciutto grazie ad una acidità ben presente. Ottimo come aperitivo, è ideale servito ad 8-10° C, su minestre di legumi e frutti di mare, paste con delicati sughi di carne, formaggi freschi e carni bianche soprattutto pollame.

Il Prosecco di Valdobbiadene Superiore di Cartizze

È un perfetto suggello ai momenti belli della vita. Già il colore rimanda ad una maggiore intensità, che si manifesta con una complessità di profumi invitanti ed ampi, dalla mela alla pera, dall’albicocca agli agrumi, alla rosa, con una gradevole nota di mandorle glassate al retrogusto. Prodotto quasi esclusivamente nella versione Dry (residuo zuccherino 17-35 g/l), questo spumante si accompagna ai dolci della tradizione, dalla pasta frolla alle crostate di frutta e alle focacce.Ottimo non solo alla fine di ogni pranzo importante, ma per ogni brindisi augurale, per rendere più festosa ogni cerimonia.

Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Frizzante

È il Prosecco più facile ed immediato: nato per incontrare i giovani e per avvicinare il consumatore meno esperto.
Nella versione a rifermentazione in bottiglia (Sur lie) è l’autentico ambasciatore della tradizione del vignaiolo, un vino essenziale, asciutto, digeribile e leggero.

Nella fermentazione più diffusa, in autoclave, il Prosecco frizzante armonizza la fragranza dei profumi varietali dell’uva con il pizzicare delicato dell’anidride carbonica, in una unione che da grande freschezza. Il colore è il caratteristico paglierino, al naso l’aroma è ricco di sentori florali e fruttati con un prevalere di mela acerba e limone. Perfetto servito a 8-10° C, come aperitivo, su antipasti e primi non elaborati.

Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene Tranquillo

È la versione meno conosciuta al di fuori della zona di produzione. Si ottiene dai vigneti più fitti e poco produttivi e da uve ben mature. La vinificazione prevede una breve macerazione a freddo sulle bucce dell’uva, in modo da arricchire il vino in aromi e struttura. Il colore è paglierino delicato, i profumi ricordano mela, pera, mandorla e miele di mille fiori. La struttura è soave e persistente, con un retrogusto talvolta gradevolmente amarognolo che lo rende più articolato e complesso. Anche se non è un vino da invecchiamento, lo si può apprezzare fino al secondo anno di vita. Va bevuto a 10-12° C su antipasti delicati di mare e di terra, ed in abbinamento con i bocconcini marinati della tradizione veneta.

 

MOSCATO D’ASTI

 

Il Moscato d’Asti è un vino da dessert prodotto in 52 Comuni delle province di Asti, Cuneo e Alessandria con uve moscato bianco in purezza. Viene fatto quasi esclusivamente da aziende di dimensioni medio piccole o da cantine cooperative che trasformano solamente le uve dei propri vigneti, il Moscato d’Asti ha raggiunto livelli qualitativi straordinari grazie alla diffusione della moderna tecnologia enologica, in particolare quella del freddo, che ha consentito di mantenere nel vino gli aromi ed i sapori del frutto e, nello stesso tempo, di stabilizzare il prodotto permettendone la conservazione ed il trasporto. Storia, tradizione, dedizione imprenditorialità geniale, applicazione e ricerca continua lo mantengono prezioso esaltandone le peculiari caratteristiche.

La denominazione di origine controllata e garantita “Asti” (unico disciplinare) è riservata a due vini:

  • “Asti” o “Asti spumante”, il vino spumante
  • “Moscato d’Asti”, il vino bianco non spumante

Il Consorzio dell’Asti tutela anche il Moscato d’Asti che, pertanto, è sottoposto agli stessi controlli da sempre messi in atto sull’Asti Spumante. Con la D.O.C.G., inoltre, molte aziende vitivinicole dirette produttrici si sono iscritte al Consorzio che ha costituito al suo interno suo interno il Consiglio del Moscato d’Asti al fine di tutelare il prodotto dalle imitazioni e per far crescere il livello qualitativo e valorizzare l’immagine, peraltro già alta, del prodotto.

Le prime notizie relative al Moscato in Piemonte risalgono al 1203, ma questo vino ricco e aromatico si mise in piena luce solo nel XVIII secolo, dopo che Giovan Battista Croce, gioielliere dei duchi di Savoia, ne perfezionò le difficili tecniche di viticultura e vinificazione. Il Moscato bianco cresceva particolarmente rigoglioso  sulle ripide e fresche colline delle Langhe, adagiate su entrambi i versanti della valle del Belbo intorno a Canelli, città da cui il vitigno prese il nome. Fu qui verso il 1870 che Carlo Gancia introdusse i metodi appresi nella Champagne diventando il padre dell’Asti spumante.

L’uva ammessa è esclusivamente Moscato bianco, viene pigiata utilizzando presse a polmone (pressione massima di 1,5 Bar) ed il mosto così ottenuto, ripulito dalle particelle solide in sospensione mediante defecazione statica, centrifugazioni e/o filtrazioni, viene refrigerato e mantenuto a 0°C gradi, per evitare l’inizio di fermentazioni indesiderate, fino all’utilizzo per la presa di spuma finale.

In tutto questo periodo, che può essere anche di 12 – 15 mesi, il mosto non deve fermentare quindi va controllato sistematicamente e appena si nota un incipiente fermentazione va rifiltrato e refrigerato per separare ed inattivare i lieviti indesiderati del mosto. Infine il mosto va fermentato e portato ai requisiti richiesti dal disciplinare di produzione. La tecnologia per la preparazione del Moscato d’Asti prevede: riscaldamento del mosto da 0° a 18°C, aggiunta di lieviti selezionati a bassa produzione di acetaldeide (odore di mela cotta) e conduzione della fermentazione a temperatura controllata variabile dai 18° ai 20°C. Quando il mosto vino arriva ai 4,5 – 5,5 gradi di alcool svolto si arresta la fermentazione alcolica mediante refrigerazione a – 3°C, si filtra e si procede all’imbottigliamento previa una ulteriore microfiltrazione sterilizzante. Quest’ultima si rende necessaria in quanto bastano pochi lieviti residui per dare origine a una rifermentazione del prodotto che porterebbe ad un intorbidamento del vino, alla modifica del sapore e in casi più gravi, alla rottura della bottiglia.

L’Asti spumante ed il Moscato d’Asti devono essere consumati giovani (possibilmente entro l’anno successivo alla vendemmia) al fine di apprezzare l’aroma del moscato nella sua completa intensità e tipicità.

L’elevata acidità, la temperatura elevata e l’esposizione alla luce sono infatti i fattori che rendono più veloci le normali trasformazioni della struttura chimica dei terpeni nel tempo.

Moscato d’ Asti

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Il Moscato d’Asti è un vino da dessert prodotto in 52 Comuni delle province di Asti, Cuneo e Alessandria con uve moscato bianco in purezza. Viene fatto quasi esclusivamente da aziende di dimensioni medio piccole o da cantine cooperative che trasformano solamente le uve dei propri vigneti, il Moscato d’Asti ha raggiunto livelli qualitativi straordinari grazie alla diffusione della moderna tecnologia enologica, in particolare quella del freddo, che ha consentito di mantenere nel vino gli aromi ed i sapori del frutto e, nello stesso tempo, di stabilizzare il prodotto permettendone la conservazione ed il trasporto. Storia, tradizione, dedizione imprenditorialità geniale, applicazione e ricerca continua lo mantengono prezioso esaltandone le peculiari caratteristiche.

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La denominazione di origine controllata e garantita “Asti” (unico disciplinare) è riservata a due vini:

  • “Asti” o “Asti spumante”, il vino spumante
  • “Moscato d’Asti”, il vino bianco non spumante

Il Consorzio dell’Asti tutela anche il Moscato d’Asti che, pertanto, è sottoposto agli stessi controlli da sempre messi in atto sull’Asti Spumante. Con la D.O.C.G., inoltre, molte aziende vitivinicole dirette produttrici si sono iscritte al Consorzio che ha costituito al suo interno suo interno il Consiglio del Moscato d’Asti al fine di tutelare il prodotto dalle imitazioni e per far crescere il livello qualitativo e valorizzare l’immagine, peraltro già alta, del prodotto.

Le prime notizie relative al Moscato in Piemonte risalgono al 1203, ma questo vino ricco e aromatico si mise in piena luce solo nel XVIII secolo, dopo che Giovan Battista Croce, gioielliere dei duchi di Savoia, ne perfezionò le difficili tecniche di viticultura e vinificazione. Il Moscato bianco cresceva particolarmente rigoglioso  sulle ripide e fresche colline delle Langhe, adagiate su entrambi i versanti della valle del Belbo intorno a Canelli, città da cui il vitigno prese il nome. Fu qui verso il 1870 che Carlo Gancia introdusse i metodi appresi nella Champagne diventando il padre dell’Asti spumante.

L’uva ammessa è esclusivamente Moscato bianco, viene pigiata utilizzando presse a polmone (pressione massima di 1,5 Bar) ed il mosto così ottenuto, ripulito dalle particelle solide in sospensione mediante defecazione statica, centrifugazioni e/o filtrazioni, viene refrigerato e mantenuto a 0°C gradi, per evitare l’inizio di fermentazioni indesiderate, fino all’utilizzo per la presa di spuma finale.

 

In tutto questo periodo, che può essere anche di 12 – 15 mesi, il mosto non deve fermentare quindi va controllato sistematicamente e appena si nota un incipiente fermentazione va rifiltrato e refrigerato per separare ed inattivare i lieviti indesiderati del mosto. Infine il mosto va fermentato e portato ai requisiti richiesti dal disciplinare di produzione. La tecnologia per la preparazione del Moscato d’Asti prevede: riscaldamento del mosto da 0° a 18°C, aggiunta di lieviti selezionati a bassa produzione di acetaldeide (odore di mela cotta) e conduzione della fermentazione a temperatura controllata variabile dai 18° ai 20°C. Quando il mosto vino arriva ai 4,5 – 5,5 gradi di alcool svolto si arresta la fermentazione alcolica mediante refrigerazione a – 3°C, si filtra e si procede all’imbottigliamento previa una ulteriore microfiltrazione sterilizzante. Quest’ultima si rende necessaria in quanto bastano pochi lieviti residui per dare origine a una rifermentazione del prodotto che porterebbe ad un intorbidamento del vino, alla modifica del sapore e in casi più gravi, alla rottura della bottiglia.

L’Asti spumante ed il Moscato d’Asti devono essere consumati giovani (possibilmente entro l’anno successivo alla vendemmia) al fine di apprezzare l’aroma del moscato nella sua completa intensità e tipicità.

L’elevata acidità, la temperatura elevata e l’esposizione alla luce sono infatti i fattori che rendono più veloci le normali trasformazioni della struttura chimica dei terpeni nel tempo

Armagnac

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L’armagnac è come il Cognac un distillato di vino. È considerato storicamente il distillato più vecchio di Francia, si trovano gia testimonianze in un documento scritto nel 1411, è un prodotto di gran consumo locale che conosce un pò di splendore verso il sedicesimo secolo. Con l’arrivo della fillossera la produzione subisce un drastico blocco nel 1878. I vigneti vengono ripristinati gradualmente e solo nel 1909, attraverso un  decreto vengo indicate le zone di produzione. (A.O.C.) Appellation D’origine controlèe. Situata nel cuore della Guascogna, nella Francia sud – occidentale, la zona coperta a vigneti e di circa 15.000 ettari ed include una larga parte del dipartimento di GERS e i Cantoni di Lot-et-Garonne e Landes.

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La regione del Armagnac, si divide in tre zone di produzione con differenti caratteristiche fisiche e geologiche:

TENAREZE : Il terreno collinare di questa zona è composto di argilla e calcare. Si produce un acquavite vivace e vigorosa, molto profumata e delicata, ed esprime tutta la sua ricchezza dopo un lungo periodo di invecchiamento.

BAS ARMAGNAC : Ha terreno acido, prevalentemente sabbioso. In questa zona si produce il più delicato e fruttato Armagnac, capace di migliorarsi anche dopo 40 o 50 anni di invecchiamento. Le due zone di produzione migliori riconosciute sono “GRAND BAS” e “FIN BAS”.

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Processo di produzione:

Le varietà d’uve più famose usate per la produzione dell’Armagnac sono: Ugni Blanc, Folle Blanc, Bacco 22A, Colombard. La vendemmia avviene molto tardi, a fine ottobre inizio di Novembre. La fermentazione avviene in maniera tradizionale, e come nel caso del Cognac, sono espressamente vietati lo zuccheraggio e l’aggiunta d’anidride solforosa (SO2). Si ottiene un vino semplice ma franco, di basso contenuto alcolico e un elevata acidità, ricco d’aromi che ricordano la vaniglia, la violetta, la prugna e la felce. Il processo di distillazione inizia subito dopo la fermentazione del vino e termina entro il 31 marzo dell’anno successivo alla vendemia. La distillazione può essere effettuata col tradizionale alambicco in Rame (ARMAGNACAIS); un ingegnoso sistema di distillazione che fu consacrato nel 1818 con decreto emanato dal Re LUIGI XVIII; un sistema di distillazione continua, reso possibile dalla presenza di una serie di piastre aventi funzione di rettificatori poste all’interno del capitello sopra la caldaia di un alambicco simile del resto allo” Charentais” ma di dimensioni ridotte, tanto da poter essere trasportato su un carretto; una sorta di distillatore ambulante. L’Armagnac ottenuto con questo sistema richiede un periodo di maturazione molto lungo, perché ottenuto ad una temperatura massima di 52-54°. Alcuni quantitativi di fermentato, sono distillati con il sistema discontinuo “Charentais”, il prodotto cosi ottenuto, richiede un invecchiamento più breve. Immediatamente dopo la distillazione, l’ acquavite viene messa a maturare nei fusti di rovere nero di Monlezun della locale foresta di Guascogna; si tratta di un legno particolarmente ricco di tannini e di altre sostanze aromatiche resinose che conferiscono al distillato un gusto pronunciato e unico. I distillati giovani vengono lasciati a maturare nei fusti nuovi chiamati pièces fabbricati a mano , della capacità di circa 400 – 420 litri; sarà poi il maestro di cantina a decidere quando e il momento di trasferire il distillato in botti più vecchie per una lenta maturazione, e quando sarà giunto il momento per procedere alla mescolanza delle varie partite.

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Classificazione:

Anche per l’Armagnac l’età corrisponde a quella dell’ acquavite più giovane, ma a differenza del Cognac, l’ Armagnac, quando si tratta di distillati che non hanno subito tagli ne mescolanze, riporta in etichetta l’anno del millesimo, che indica la data del raccolto del uva. Per quanto riguarda invece le bottiglie non millesimate la sola dicitura Armagnac indica che si tratta di una miscela di distillato delle tre zone, se invece la provenienza e unica di una data zona ( HAUT, BAS o TENEREZE), sarà indicata la provenienza in etichetta.

TROIS ETOILES

“Tre stelle” -indica un acquavite più giovane con almeno due anni d’ invecchiamento( minimo concesso dalla legge Francese).

V.O , V.S.O.P o RESERVE

Indica un Armagnac di almeno cinque anni .

EXTRA, NAPOLEON, XO oVIEILLE RESERVE

Minimo invecchiamento di sei anni

HORS D’ AGE

Si riferisce ad Armagnacs di almeno dieci anni di invecchiamento.

Come tutti i distillati anche l’ Armagnac non subisce nessun invecchiamento in bottiglia, tutti i produttori sono concordi nel consigliare di conservare le bottiglie in verticale, affinche l’ alcool non attacchi il tappo

Metodi di Appassimento

 

Nel mondo dei vini una grande realtà sono i vini passiti. Questi vini sono prodotti utilizzando metodi vari, che possono essere fisici o chimici, per concentrare gli zuccheri dell’uva ed avere così un vino più alcolico e profumato, ma non necessariamente dolce.

Questi vini hanno particolare rilevanza nel panorama italiano dei vini, basta pensare al Vinsanto, al passito di Pantelleria, all’aleatico dell’Elba, al Torcolato Veneto, etc.; ma anche nel resto del mondo come per esempio il Sauternes, Tokaj, etc.

 

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Tutti questi vini hanno in comune un processo particolare, vengono cioè fatte appassire le uve prima di procedere alla spremitura e alla vinificazione.

Per ottenere questo esistono vari metodi:

  • METODI FISICI
    • Vendemmia tardiva: l’uva viene lasciata sovrammaturare sulla pianta fino a che non raggiunge la giusta concentrazione di zuccheri;
    • Torsione del peduncolo: viene spezzato il peduncolo del grappolo, ma senza che questo si stacchi dalla pianta, l’uva poi viene lasciata ancora per qualche giorno attaccata al ramo. Così facendo si toglie agli acini la possibilità di continuare a nutrirsi e a crescere, costringendoli ad un appassimento causato dall’arsura del sole e dell’aria;
    • Appassimento su graticci, stuoie o in appassitoi: l’uva viene raccolta al giusto grado di maturazione e poi viene fatta appassire in ambienti controllati come soffitte o cantine all’aria, oppure in appassitoi con temperatura e umidità controllate;

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  • METODI CHIMICI
    • Botrytis cinerea: l’uva ancora nella vigna, in particolari condizioni climatiche viene attaccata da una muffa detta “muffa nobile”, ovvero la botrytis cinerea. La muffa usata in stato larvale attacca gli acini e ne utilizza l’acqua concentrando gli zuccheri, allo stesso tempo cede all’acino alcune sostanze che svilupperanno altre reazioni chimiche che contribuiranno alla formazione degli aromi del vino. Con questo metodo si ottengono i vin i cosiddetti muffati.
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Madeira

 

Definizione:  il madeira è un vino speciale prodotto sull’isola di Madeira (Portogallo)

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Origini: L’isola di Madeira fu scoperta nel 1419 per opera di tre Portoghesi. Questa si trova a largo delle coste del Marocco in pieno oceano Atlantico.

Alle origini l’isola era ricoperta da una fitta vegetazione, che venne bruciata per liberare aree da destinare alla coltivazione di canna da zucchero, divenendo un centro importante per la produzione. Più tardi con la scoperta dell’America nel 1492, l’isola di Madeira perse la sua importanza produttiva a causa del Brasile che iniziò a produrre canna da zucchero ma a prezzo molto più basso. Iniziò quindi una lenta fase di popolamento di vite, che già era comunque coltivata dal 1450.

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Molto importante fu anche l’esponenziale crescita dell’esportazione del vino. Gli inglesi, proprietari delle colonie in America, favorirono diminuendo le tasse, i propri immigrati nell’isola che svilupparono ampiamente il commercio, grazie anche alla posizione strategica dell’isola.

La richiesta di vino crebbe talmente tanto nel XVIII secolo che per sopperire alle richieste iniziarono le frodi. Il vino veniva mescolato con altro vino di bassa qualità, oppure era venduto come Madeira un vino che niente aveva a che fare con questo. Si istituirono così le prime leggi per preservare le caratteristiche. Fu introdotto l’uso di fortificazione e le estufagem.

  • Fortificazione: il vino viene addizionato di alcol vinicolo per bloccare la fermentazione, aumentare il grado alcolico e stabilizzare il prodotto. Questa pratica era già in uso da tempo presso i produttori, ma non veniva mai rivelata;
  • Estufagem: alla fine del XVII secolo erano frequenti le esportazioni anche in India. Notarono che i vini che passavano l’equatore a bordo di una nave miglioravano. Nella stiva si creavano condizioni di forte calore (quasi 50° C) e scuotimento continuo causato dal rollio, che velocizzavano l’invecchiamento del vino. In origine, per adempire questa procedura, venivano caricate appositamente delle navi che avevano il compito di navigare fino alle indie e ritornare in Europa con il medesimo carico di vino, ma a questo punto invecchiato.

Oggi questo procedimento è riprodotto artificialmente con le estufas, ovvero “stufe” che riproducono il rollio e la temperatura della nave.

 

Dopo questo fortuito periodo inizio la parabola discendente della fama del vino di Madeira. L’America, che fino poco tempo prima era una grande consumatrice di Madeira, calò la sua richiesta a causa anche della guerra civile del 1861. Si inaugurò in quel periodo anche il canale di Suez, il quale permise alle navi in transito per l’Asia di scorciare la rotta senza circumnavigare l’africa e  fermarsi all’isola di Madeira. Inoltre il XIX secolo fu anche l’anno della filossera, che distrusse gran parte dei vigneti.

Oggi il vino di Madeira è una realtà molto importante conosciuta in tutto il mondo.

 

Curiosità:  Il 4 luglio 1776, alla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, George Washington brindò con un calice di Madeira.

Napoleone Bonaparte, durante il suo viaggio per giungere all’Isola di sant’Elena, fece tappa a Madeira dove gli fu consegnata una botte di vino per alleviare la tristezza e la solitudine dell’esilio. La leggenda vuole che Napoleone si rifiutò di pagare il prezioso barile, e questo tornò a terra. Il contenuto imbottigliato ed etichettato con la dicitura Napoleone e fu molto apprezzato da Winston Churchill.

 

Uvaggi:

  • Tinta negra: Introdotta nel XVIII secolo, viene utilizzata per produrre vini secchi, semisecchi, abboccati e dolci. Rappresenta l’80-85% della produzione di vino.
  • Sercial: Varietà molto resistente, viene impiegata principalmente per produrre vini secchi.
  • Verdelho: Produce vini leggermente più corposi e meno acidi del Sercial. Utilizzato per i vini semisecchi.
  • Boal: Produce vini molto abboccati che sono molto apprezzati per il loro bilanciamento acisità/dolcezza.
  • Malvasia o Malmsey: l’uva malvasia è stata la prima qualità piantata sull’isola. Si producono con questa vini dolci molto apprezzati, famosi e importanti. La malvasia prodotta dai sacerdoti Gesuiti nel XVIII secolo è considerata la regina dei vini.

 

Paesi produttori: Isola di Madeira (Portogallo)

 

 Produzione: l’uva viene raccolta e portata alle cantine di elaborazione per essere lavorata. Si procederà quindi ad una lavorazione classica a seconda se si vuole ottenere un vino bianco (fermentazione in bianco o bica aberta), oppure rosso (fermentazione in rosso a contatto con le bucce o curtimenta).

Inizia quindi la fase della fermentazione. Viene innescata la fermentazione classica, ma a seconda del tipo di vino desiderato, viene interrotta con aggiunta di alcol vinicolo a 96% vol. dopo alcuni giorni. Per esempio i vini dolci vengono aggiunti di alcol dopo 2 giorni di fermentazione, gli abboccati dopo 3 giorni, i vini semisecchi dopo 4 giorni e i vini secchi vengono addizionati dopo la quasi completa fermentazione degli zuccheri. Alla fine tutti avranno una gradazione compresa tra i 17 e i 18 % vol.

A questo punto, dopo una eventuale svinatura e sedimentazione del vino, inizia la fase di invecchiamento che può avvenire con estufagem o canteiro.

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  • Estufagem: il vino viene messo in contenitori da acciaio  inossidabile e riscaldato da una serie di tubi ad una temperatura di 45-50° C per minimo 3 mesi. Passato tale periodo, il vino viene lasciato a temperatura ambiente per 90 giorni per stabilizzarlo prima di essere conservato in fusti di legno o in contenitori d’acciaio. Per legge non possono essere imbottigliati prima del 31 ottobre del secondo anno successivo alla vendemia.
  • Canteiros: i vini di maggior pregio vengono selezionati e messi in fusti di legno. Questi subiranno un invecchiamento classico in botte. I barili vengono posti solitamente nei piani alti delle cantine dove le temperature sono più alte. Il nome canteiro deriva da cantero che è la struttura che sorregge le botti. Il periodo minimo di invecchiamento è di 3 anni e può essere imbottigliato a partire dal 1° gennaio del terzo anno successivo alla vendemmia.

 

Segue poi l’imbottigliamento e la commercializzazione.

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Tipologie: Esistono vari tipi di Madeira e le classificazioni variano in base a molti fattori:

  • Indicazione di età o anno di raccolta
    • Invecchiamento: Seleccionado ( da 3 a 5 anni), Rainwater (massimo 5 anni con colore a metà tra paglierino e dorato), 5-6-… anni (riporta in etichetta gli anni di invecchiamento);
    • Anno di raccolta: Solera (invecchiato col metodo solera y criadera per un minimo di 5 anni in Canteiro. Il vino utilizzato per ricolmare le botti proviene da un unico lotto di una stessa annata e quindi peroterà in etichetta l’anno di vendemmia), Colheita (prodotto con per lo meno con 85% di uva della stessa annata, 85% della stessa varietà e invecchiato minimo 5 anni), Vintage o Frasqueira (prodotto con uva della stessa vendemmia e della sola annata, invecchiato per minimo 20 anni in botti di legno). Tutti questi ultimi hanno indicato in etichetta il periodo di invecchiamento.
  • Processo di produzione
    • Canteiro (riservato ai vini invecchiati con questo metodo).
  • Grado di dolcezza
    • Extra seco (da 0 a 49,1 g/l), Seco (da 49,1 a 64,8 g/l), Meio Seco (da 64,8 a 80,4 g/l), Meio Doce (da 80,4 a 96,1), Doce (maggiore di 96,1);
  • Colore
    • In ordine dal più chiaro al più scuro: Muito Pàlido, Pàlido, Dourado, Meio Escuro, Escuro;
  • In base alla struttura e al corpo
    • Dal meno strutturato al più corposo: Leve, Menção, Fino, Macio, Aveludado e Amadurecido.

Vin Santo

 

Definizione: il Vin Santo è un vino di colore ambrato ottenuto da uve appassite, vinificato e fermentato in particolari botti dette caratelli che vengono conservati nelle vinsantaie (locali simili a soffitte).

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Origini: Non è possibile stabilire quando e dove precisamente sia nato il Vin Santo. Fin dall’antichità venivano prodotti vini passiti un po’ in tutta la penisola.

Quello che è certo è che bisogna sfatare il mito che questo vino ha origini contadine. Produrre un vino così elaborato e così scarso in resa (intesa come quantità di prodotto) era molto oneroso per i poveri contadini. Nasce infatti nelle cantine dei ricchi, gli unici che potevano permettersi di “sacrificare” un po’ delle proprie uve per produrre il Vin Santo.

Solamente nel XIX secolo questo vino si diffuse a macchia d’olio anche fra i contadini che iniziarono a produrlo per sfizio, per poterlo offrire agli amici nelle occasioni speciali. Questa tradizione prese campo specialmente in toscana dove incontrò il gusto delle persone e le caratteristiche climatiche adatte per la produzione.

Il nome “Santo” appare per la prima volta nel 1773 nell’opera “Oenologia Toscana” di Cosimo Villifranchi.

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Tanti però sono i misteri e le leggende che sono sorte sul perché di questo nome. Una prima teoria e forse la più logica è quella che ritiene tale nome legato all’utilizzo che ne veniva fatto, ovvero era utilizzato per la celebrazione della Santa Messa, meritandosi così l’appellativo di Vin Santo.

C’è invece chi sostiene che la parola Santo deriva dalla festa di Ognissanti a Novembre, momento in cui si effettua la vinificazione delle uve; per altri invece deriva dalla settimana santa di Marzo, momento in cui ha termine l’appassimento delle uve o in altri casi avviene l’imbottigliamento.

Si sostiene anche che nel 1348 un frate francescano utilizzava il vin pretto[1] per curare gli ammalati di peste e subito dopo si diffuse la credenza che questo vino avesse proprietà “Sante”.

Un’ultima teoria invece fa  risalire il nome al Concilio di Firenze Firenze (1439) durante il quale il Padre Bessarione assaggiando il vino esclamò “Xantòs” perché quel vino assomigliava al vino di Xantòs,vino di Grecia. Considerando però la cronologia degli  eventi e le date delle citazione queste ultime due teorie non hanno molto credito.

 

Uvaggi:

Bianchi – i più utilizzati sono Trebbiano, Malvasia, Canaiolo bianco, Pinot bianco o grigio, Sauvignon e Chardonnay;

Rossi – Sangiovese.

 

Paesi produttori: viene prodotto esclusivamente in Italia. La regione che detiene il primato della produzione di Vin Santo è la Toscana (presente in 23 delle 40 Denominazioni d’origine controllata), ma viene prodotto anche nel resto d’Italia. Altre 6 D.O.C. sono dislocate in Trentino Alto – Adige, Marche, Umbria e Emilia Romagna.

 

Produzione: la produzione di questo vino inizia nella vigna dove le uve ormai mature devono essere selezionate e  raccolte con cura, eliminando gli acini danneggiati che provocherebbero il marciume durante l’appassimento. Le uve migliori sono quelle provenienti da terreni asciutti e cresciute non troppo vicino al terreno, per evitare appunto che l’uva marcisca.

Durante la vendemmia un’altra pratica molto importante è il taglio della cima dei grappoli: qui, vengono tolti gli ultimi acini che generalmente sono quelli meno maturi.

Una volta che l’uva è raccolta viene trasportata negli appassitoi e disposta su canicci, penzane, casse o stuoie. Gli appassitoi sono locali simili a soffitte, molto areati e freschi, con una temperatura che va dai 10° ai 15° C. Qui le uve vengono lasciate appassire per un periodo che va da 20 giorni a 6 mesi. In questo tempo l’uva perde 1/3 del suo e si concentrano zuccheri e sostanze aromatiche.

Una volta raggiunta la concentrazione di zuccheri desiderata ( 30%-40% per i Vin Santi dolci; 25%-28% per quelli secchi) i grappoli interi vengono avviati all’ammostamento. Precedentemente è necessario togliere gli acini rovinati durante l’appassimento che potrebbero pregiudicare il vino. I grappoli vengono lavorati senza prima essere diraspati con una pressatura soffice in presse orizzontali.

Questo mosto ricco di zuccheri arriva ora al momento più delicato: la fermentazione nei caratelli. I caratelli sono piccole botti di castagno o rovere della capacità di 50-200 litri. Questi vengono riempiti per i 2/3, chiusi ermeticamente e posti nelle vinsantiere o vinsantaie: locali sottoposti a forti sbalzi di temperatura.

La fermentazione è un processo molto lento a causa dell’alta concentrazione zuccherina, degli sbalzi di temperatura, della chiusura ermetica con tappo di sughero che evita la fuoriuscita del gas prodotto e la reintegrazione con aria e il progressivo innalzamento del grado alcolico (non avviene la fermentazione tumultuosa, bensì una fermentazione lenta che si interrompe e riprende più volte nel tempo).

Tutto ciò contribuisce ad una selezione naturale dei lieviti migliori. I vecchi produttori serbavano, al momento dell’ imbottigliamento, la madre del vinsanto: un residuo, delle vecchie fermentazioni, composto da lieviti già selezionati  e fecce. Questo veniva lasciato nei caratelli; ogni volta veniva riutilizzato per innescare la nuova fermentazione.

Il vino permane nel caratello per un periodo minimo di 3 anni durante il quale non avviene soltanto la fermentazione alcolica ma anche tutta una serie di fermentazioni causate da muffe o altri lieviti, nonché un certa ossidazione e invecchiamento che trasformano radicalmente il vino.

Finito l’invecchiamento (minimo 3 anni) il Vin Santo è pronto per l’imbottigliamento e la commercializzazione.

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Tipologie: Il Vin Santo si classifica principalmente alla quantità di zuccheri presenti nel vino in secco, abboccato o dolce. I vinsanti toscani prodotti con uve rosse prendono la definizione di “Vin Santo occhio di pernice”.

Gradazione alcolica 15°-19° C.

[1] Secondo Tommaso Bellini, (dizionario ottocentesco), la voce “pretto” deriva da “puretto” e quindi sta a significare “sciatto”. Il vin pretto veniva utilizzato per le cerimonie eucaristiche.